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Società di persone: Che succede se muore un socio?

Approfondimenti

Nelle società di persone alla morte di un socio consegue lo scioglimento del vincolo sociale che legava il socio alla società ma non lo scioglimento della società stessa, con la conseguente necessità di definire i rapporti patrimoniali tra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto, attraverso il meccanismo di liquidazione previsto dall'art. 2289 c.c.

Al verificarsi della morte del socio i suoi eredi acquisiscono, infatti, il diritto alla liquidazione della quota spettante al de cuius, ossia un diritto di credito ad una somma di denaro rappresentativa del valore della quota del defunto.


La legge riconosce, tuttavia, ai soci superstiti la possibilità di evitare la liquidazione della quota, optando invece per lo scioglimento della società e l'avvio della fase liquidatoria, oppure per la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, e ciò entro sei mesi dal decesso del socio.

Dispone, infatti, l'art. 2284 c.c. (la cui rubrica è intitolata "Morte del socio") che "Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi consentano". La disposizione, dettata in tema di società semplice, si applica anche alle società in nome collettivo in forza del rinvio operato dall'art. 2293 c.c.


In seguito alla morte del socio si aprono quindi tre alternative ai soci superstiti: liquidare la quota agli eredi, sciogliere la società ovvero continuarla con i successori stessi.

La scelta spetta esclusivamente ai soci superstiti, essendo la volontà degli eredi rilevante esclusivamente ai fini dell'accettazione della proposta di prosecuzione avanzata dalla residua compagine sociale.


Nel caso in cui i soci superstiti optino per addivenire allo scioglimento della società e porla in liquidazione, il diritto degli eredi ha per oggetto la distribuzione del netto ricavo della liquidazione del patrimonio sociale ai sensi dell'art. 2282 c.c. (il c.d. diritto alla quota di liquidazione e non già, come nel caso sopra prospettato, il c.d. diritto alla liquidazione della quota), ed essi non possono interferire con tale decisione dovendo subire, al contrario, la relativa conseguenza di non vedersi liquidata la quota del loro dante causa nel termine di sei mesi dalla sua morte e dovendo, invece, attendere la conclusione delle operazioni di liquidazione della società per potere partecipare alla divisione dell'attivo eventualmente residuato. Quest'ultima, invero, è la scelta che i soci tendono normalmente a privilegiare nel caso in cui ritengano che la partecipazione del socio deceduto fosse da considerarsi rilevante al fine del perseguimento dell'oggetto sociale, oppure la società non abbia le somme sufficienti per provvedere alla liquidazione della quota nei confronti degli eredi del socio defunto senza dover incidere in modo determinante sui mezzi necessari al fine della realizzazione del programma sociale.

Se, invece, non si opti per lo scioglimento, la società ha l'obbligo di liquidare la quota agli eredi nel termine di sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto limitamento al socio deceduto, ai sensi dell'art. 2289 cc.

Quando, come nel caso di specie, l'evento morte riguardi una società di persone costituita da due soli soci, si è, tuttavia, posto il problema del coordinamento dell'art. 2284 cc con l'art 2272 n. 4 cc, secondo cui la società si scioglie 'quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita'.


Il problema è stato risolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente nel senso che nell'ipotesi di scioglimento disciplinata dall'art. 2272, n. 4), c.c. ci si trovi di fronte ad una tipica fattispecie a formazione progressiva costituita da due elementi: la morte di uno dei due soci e la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi dalla sua morte, sicchè non è la sola morte di uno dei due soci a determinare lo scioglimento della società, bensì la sua morte quando essa è seguita dalla mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine semestrale. Quest'ultimo elemento determina, quindi, il perfezionamento della fattispecie estintiva della società, quale prevista dall'art. 2272, n. 4), c.c., e quindi con effetti ex nunc.

Sul punto è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione (cfr. sent. 16.4.2018 n. 9346) che, dopo un approfondito esame degli orientamenti giurisprudenziali in materia, ha ribadito di condividere l'opinione prevalente anche in dottrina, secondo cui l'art. 2284 cc. si applica in pieno anche nel caso di società composta da due soci. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che <<l'art. 2272 c.c., n. 4, è diretto a regolare i rapporti della società con i terzi: a tutela di costoro, mediante una finzione giuridica, è prevista la continuazione della società sino alla data in cui il socio superstite delibera lo scioglimento, o sino allo scadere del termine di sei mesi, nel qual caso l'effetto si produce necessariamente ex nunc; viceversa, l'art. 2284 c.c. regola i rapporti interni tra i soci, e, come dimostra la lettera, l'effetto dello scioglimento del rapporto limitatamente al singolo socio ha luogo ex tunc>>.


Pertanto, poiché la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine previsto è priva di efficacia retroattiva, in difetto di ricostituzione di tale pluralità lo scioglimento della società si produce solo alla scadenza del semestre di cui all'art. 2272 n. 4 cc (cfr. anche: Cass. 7 maggio 1974, n. 1278 e 16 luglio 1976, n. 2812; 22 dicembre 1978, n. 6156; 16 febbraio 1981, n. 936; 6 febbraio 1984, n. 905; Cass. 11 aprile 1995 n. 4169), in quanto, in pendenza di detto termine, il socio superstite, oltre a potere optare per la ricostituzione della pluralità di soci, può avvalersi della scelta tra le tre diverse soluzioni contemplate dall'art. 2284 cc, scelta che, come sottolineato dalla Suprema Corte, rientra nell'esclusivo potere del socio superstite e non degli eredi, i quali, finchè non sia scaduto il termine di cui all'art. 2272, n. 4, possono soltanto aderire alla eventuale proposta di continuazione della società (cfr. anche Cass. 18 giugno 1956, n. 2164).

Ne discende che se nel termine di sei mesi dalla morte di uno dei due soci, interviene la delibera del socio sopravvissuto di liquidare la società, allora alla morte conseguirà la successione degli eredi nella quota della società in liquidazione e non ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota (cfr. cfr. Cass 9346/18 cit; Cass. 16 febbraio 1981 n. 936), mentre nel caso inverso, in cui lo scioglimento e la liquidazione della società non intervengano prima del decorso del predetto termine e la società si sciolga di diritto per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, <<non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi della mancanza della pluralità medesima<< (cfr. Cass 9346/18 cit.; cfr anche Cass. 19.04.2001 n. 5809 e Cass. 11 maggio 2009 n. 10802).


In altre parole, lo scioglimento del rapporto sociale a seguito della morte del socio si verifica con effetto immediato, tanto è vero che i suoi eredi non succedono nella qualità di socio del de cuius (salvo che non si tratti della quota del socio accomandante, ma non è questo il caso), bensì nel solo diritto di credito al valore della quota ex art. 2289 cc nei confronti della società, con corrispondente obbligo per la società di provvedere al pagamento della quota (cfr. art. 2284 c.c.: 'in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi...'); poiché, tuttavia, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2289 cc tale pagamento deve essere fatto dalla società entro sei mesi dal decesso, solo trascorso inutilmente tale termine il pagamento (liquido in quanto risultante da un mero calcolo aritmetico) diviene esigibile e la società deve ritenersi in mora, trattandosi di obbligazione da eseguirsi al domicilio del creditore ai sensi dell'art. 1182 , comma 3 c.c. (cfr. Cass. ord 27.11.2019 n. 31046).


Il socio superstite può, tuttavia, evitare la liquidazione della quota agli eredi optando, prima della scadenza dei sei mesi, per la delibera di scioglimento della società e l'avvio della fase liquidatoria: in questo caso, infatti, gli eredi che, si ribadisce, non essendo divenuti soci, subiscono la scelta del socio superstite di sciogliere anticipatamente la società, parteciperanno (senza tuttavia assumere la qualità di socio) alla distribuzione del netto ricavo della liquidazione del patrimonio della società, e cioè avranno diritto ad una quota di liquidazione e non più alla liquidazione della quota del de cuius (cfr. Cass. sent. 3671 del 14.03.2001; Cass 10.09.1990 n. 9318; Cass. 13.12.1978 n. 5927).


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