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Truffa: deve esserci identità tra la persona indotta in errore e chi effettua il pagamento


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Ai fini della configurabilità del delitto di truffa, è necessario che vi sia identità tra il soggetto che, indotto in errore dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione patrimoniale e il soggetto passivo del danno (Cassazione penale sez. VI, 22/09/2020, n.28957).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 22/09/2020, n.28957

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha confermato la condanna pronunciata in primo grado dal GIP del Tribunale di Torino di A.E.D. in ordine ai reati di cui agli artt. 81 cpv. e 314 c.p. (capo 1), agli artt. 110,476 e 479 c.p. (capi 2, 9, 11, 13, 15, 17, 19, 21, 23, 25, 27, 29, 31, 33, 35, 37, 39, 41, 43, 45), agli artt. 110,48 e 480 c.p. (capi 3, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 26, 28, 30, 32, 34, 36, 38, 40, 42, 44, 46); all'art. 61 c.p., n. 2, art. 110 c.p., art. 615 ter c.p., commi 1 e 3 (capo 4) ed all'art. 81 cpv. c.p., art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capi 5, 6), confermando la pena inflittagli dal primo giudice nella misura di tre anni di reclusione, con la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici.


I reati contestati e ritenuti in sentenza attengono a condotte seriali, attuate dall'imputato in qualità di medico legale operante presso la ASL TO 1, di falsa attestazione dei requisiti fisici e psichici necessari per il rinnovo della patente di guida, di induzione dolosa dei competenti organi amministrativi al rilascio delle patenti, di appropriazione di compensi spettanti alla ASL (OMISSIS) nell'ambito delle procedure di rinnovo dei titoli di guida, di abusivo accesso al sistema telematico del Dipartimento dei Trasporti Terrestri di Torino in concorso con un operatore di sistema giudicato separatamente, di truffa nei confronti della ASL in relazione sia all'attività professionale svolta extra moenia sia di appropriazione di importi di spettanza diretta della stessa ASL.


2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato il quale, conformemente alle deduzioni svolte con l'atto di appello, limita la formulazione delle censure ai soli reati di truffa (capi 5 e 6 della rubrica) nonchè all'applicazione della pena accessoria interdittiva perpetua.


Con un primo motivo deduce, infatti, erronea applicazione dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 1 (capo 5) e vizi congiunti di motivazione sul punto, sostenendo che la violazione del patto di esclusiva con la ASL poteva dar luogo al reato di truffa a consumazione istantanea, nel caso fosse stata raggiunta la prova che al momento della sottoscrizione dell'accordo con la stessa ASL l'imputato avesse mostrato l'intenzione di non rispettare la clausola di esclusiva.


Ove invece si accerti, come ha stabilito la sentenza, che l'intenzione di non rispettare la clausola è sopravvenuta successivamente alla stipula del contratto, allora non sarà configurabile alcun reato ma solo un illecito meramente civilistico per inadempimento contrattuale.


Con un secondo motivo deduce gli stessi vizi riguardo all'ipotesi di truffa di cui al capo 6) dell'imputazione.


Il ricorrente sostiene che già dalla contestazione emerge che la ASL (OMISSIS) ha in realtà tratto vantaggio dalla condotta in addebito, poichè emettendo le fatture riguardanti le prestazioni mai eseguite dall'imputato in favore di pazienti che mai si erano presentati per la visita di idoneità, l'ente ha incassato o maturato il diritto ad incassare una frazione (pari ad Euro 10,78) per ciascuna prestazione ancorchè non eseguita; nè rileva ai fini del reato di truffa l'avere cagionato un danno meramente virtuale alla parte offesa ovvero un danno di natura non patrimoniale.


Non è stata la ASL il soggetto indotto all'atto di disposizione patrimoniale bensì i vari pazienti che hanno subito una depauperazione patrimoniale, per cui sussiste dissociazione tra il soggetto che si assume raggirato (la ASL) e quello o quelli che hanno subito la diminuzione patrimoniale.


La decisione appare, inoltre, viziata anche sotto il profilo del mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, che del tutto illegittimamente è stata negata a fronte di una condotta connotata dalla presenza di plurime violazioni di reato da parte dell'imputato, senza considerare in via esclusiva l'entità del danno patrimoniale causato alla parte offesa.


Con un terzo e ultimo motivo di censura viene, infine, dedotta erronea applicazione dell'art. 317 bis c.p., in relazione all'art. 2 c.p., comma 4.


La Corte d'appello ha irrogato la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici sulla base della condanna per il delitto di peculato alla pena di due anni ed otto mesi di reclusione, rilevando il superamento del limite di due anni di reclusione al di sotto del quale l'interdizione è solo temporanea.


Tuttavia la previsione di detto limite e la modifica in tal senso dell'art. 317 bis c.p. è dovuta alla L. 9 gennaio 2019, n. 3, avente decorrenza 30 gennaio 2019, mentre i fatti di reato risalgono agli anni 2014, 2015 e 2016.


A quell'epoca l'art. 317 bis c.p., comma 2, stabiliva l'interdizione temporanea "se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore ad anni tre".


Per il reato di peculato, su cui poggia l'applicazione della pena accessoria, la pena iniziale fissata in quattro anni di reclusione è stata, infatti, ridotta per effetto delle circostanze attenuanti generiche a quella di due anni e otto mesi di reclusione ed è su detta pena, riferita al reato principale assunto dalla sentenza come base per il calcolo della pena complessiva, che andava operata la valutazione ai fini dell'applicazione della pena accessoria secondo la versione dell'art. 317 bis c.p., vigente all'epoca dei fatti.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.


2. Il ricorrente lamenta che nelle fattispecie considerate ai capi 5) e 6) dell'editto accusatorio non è dato riscontrare gli elementi costitutivi della truffa. L'assunto è fondato.


Al capo 5) dell'imputazione si è contestato all'imputato di essersi procurato un ingiusto profitto, previo raggiro della ASL (OMISSIS) consistito nel sottoscrivere una clausola d'impegno a non esercitare attività libero professionale extra moenia, ma esclusivamente attività intra muraria, laddove le indagini avevano accertato la violazione della clausola stessa, esercitando A. attività professionale al di là dei limiti delle prestazioni intra moenia.


Al capo 6) gli si è contestato, inoltre, di avere presentato presso la struttura economico - finanziaria della ASL (OMISSIS) fatture da emettere in relazione alla procedura di rinnovo della patente a carico di soggetti che in realtà mai si erano presentati a effettuare la regolare visita medico - legale, costituendo questo l'espediente per legalizzare procedure totalmente abusive in favore di richiedenti il rinnovo del titolo di guida privi dei requisiti per conseguirlo.


Tanto premesso, pare evidente il difetto in entrambi casi degli elementi costitutivi del delitto di truffa e cioè il raggiro o l'artificio in danno della parte offesa, l'induzione in errore ed infine la disposizione patrimoniale eseguita da quest'ultima.


Nel primo caso (capo 5) difetta non solo una condotta fraudolenta - dal momento che la mera violazione della clausola pattuita non può integrare raggiro o artificio ma solo un illecito di natura civilistica derivante dal mancato rispetto di una delle condizioni convenute tra le parti contrattuali - ma anche qualsivoglia disposizione patrimoniale da parte della ASL.


Nel secondo caso e come correttamente dedotto dal ricorrente sussiste dissociazione tra l'ente pubblico che si assume raggirato (la ASL (OMISSIS)) e i soggetti che avrebbero subito la depauperazione patrimoniale, vale a dire i richiedenti il rinnovo della patente privi dei requisiti per conseguirla (per la necessità dell'identità soggettiva tra il soggetto che, indotto in errore dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione patrimoniale e il soggetto passivo del danno v. l'innovativa e condivisibile Sez. 5, sent. n. 18968 del 18/01/2017, F, Rv. 271060).


In tale ultimo caso, poi, è dubbio pure che vi sia stata effettiva depauperazione patrimoniale, atteso che l'emissione della fattura da parte della ASL costituiva in realtà l'espediente per legalizzare pratiche gestite dall'imputato in maniera completamente abusiva e anche a voler dare per assodato che i privati gli abbiano effettivamente corrisposto l'importo delle fatture emesse a loro carico, ciò avrebbero fatto in corrispettivo di un servizio realmente loro fornito, per quanto nell'ambito di un negozio avente causa illecita (art. 1343 c.c.).


La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio in relazione ai reati oggetto dei capi 5) e 6) dell'imputazione perchè il fatto non sussiste, ciò che, tuttavia, comporta la restituzione degli atti a diversa sezione della Corte territoriale ai fini della rideterminazione della pena principale, attesa l'indicazione onnicomprensiva dell'aumento a titolo di continuazione rispetto al più grave reato di peculato (capo 1) operata dal primo giudice e rimasta immutata all'esità del giudizio di secondo grado.


3. La necessità di rideterminare la pena principale comporta il medesimo adempimento per quella accessoria, dovendosi tenere ovviamente conto della circostanza - anch'essa oggetto di specifica censura formulata con il ricorso che i fatti di reato ascritti all'imputato risalgono agli anni 2014, 2015 e 2016 ed è la versione dell'art. 317 bis c.p., antecedente alla modifica disposta con la L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1 comma 1 lett. m), a dover trovare applicazione nella fattispecie.


P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 5) e 6) perchè il fatto non sussiste nonchè in ordine all'entità della pena accessoria. Rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.


Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2020

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