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Truffa: se la vendita avviene in luogo istituzionale, sussiste la minorata difesa


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

L'aggravante della minorata difesa in relazione al luogo di commissione del reato, è configurabile quando, secondo una valutazione in concreto, ricorrono situazioni oggettive idonee ad abbattere o affievolire le capacità reattive della vittima in relazione al tipo di reato cui si correla l'evento circostanziale. (In applicazione del principio, la Corte ha confermato la sussistenza dell'aggravante in relazione al delitto di truffa commesso dall'amministratore di una società di investimento che concludeva operazioni di vendita di diamanti, a prezzo fraudolentemente gonfiato, all'interno di filiali di istituti bancari, rilevando come la condotta era stata favorita dall'affidamento che il luogo istituzionale ingenerava nei compratori, in termini sia di correttezza che di legittimità dell'offerta di vendita - Cassazione penale , sez. II , 14/10/2020 , n. 3560).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 14/10/2020 , n. 3560

RITENUTO IN FATTO

1.Il Tribunale di Milano rigettava l'istanza di riesame proposta dal S. nei confronti dell'ordinanza che gli aveva imposto la custodia in carcere per il reato di autoriciclaggio consumato attraverso il reinvestimento dei proventi di molteplici truffe che si ritenevano aggravate sia dall'abuso della condizione di minorata difesa degli offesi che dall'approfittamento del rapporto di prestazione di opera intercorrente con gli stessi.


Si contestava al S., Amministratore delegato della Diamond Private Investment s.p.a., di avere tratto profitto dalla vendita a prezzo maggiorato di diamanti conclusa a seguito della falsa prospettazione della ufficialità e congruità dei prezzi proposti (attuata attraverso la falsificazione dei listini prezzi) e di avere riciclato i profitti di tali truffe.


Le truffe seriali si ritenevano aggravata sia dal rapporto professionale intercorrente tra venditore ed investitore, sia dall'abuso della minorata difesa correlata al luogo in cui si erano svolte le trattative per la compravendita, ovvero le filiali di istituti bancari, che contribuivano ad alimentare negli offesi la percezione della affidabilità del venditore.


2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:


2.1. violazione di legge: non ricorrerebbe l'aggravante dell'abuso della minorata difesa il che comporterebbe che il reato contestato avrebbe la soglia di pena prevista dall'art. 648 ter.1. c.p., comma 2, incompatibile con l'applicazione della cautela carcerarla; si deduceva i locali degli istituti bancari non avevano caratteristiche tali da indebolire le capacità reattive delle vittime delle truffe; si deduceva che il rapporto fiduciario tra le persone offese, l'indagato ed i funzionari di banca non poteva essere posto alla base sia del riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5), che di quella prevista dall'art. 61 c.p., n. 11 e che, comunque, la induzione nella vittima di una percezione di affidabilità dell'autore del reato era un elemento "costitutivo" e non "circostanziale" del reato di truffa.


Si deduceva altresì che il Tribunale avrebbe esercitato indebitamente il proprio potere integrativo, tenuto conto della assoluta carenza di motivazione dell'ordinanza genetica su una circostanza decisiva per l'applicazione della misura cautelare: il riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5) era infatti decisivo per la contestazione dell'autoriciclaggio nella dimensione "ordinaria" e non "attenuata" ai sensi dell'art. 648 ter.1. c.p., comma 2, che aveva una soglia massima di pena incompatibile con l'applicazione della custodia cautelare in carcere.


3. Con motivi aggiunti depositati il 12 ottobre 2020 si instava per l'accoglimento del ricorso ribadendo la illegittimità del riconoscimento dell'aggravante.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.


1.1. La parte del motivo che deduce l'illegittimità del ricorso a poteri integrativi a disposizione del Tribunale è infondato.


Si deduceva l'illegittimo ricorso ai poteri integrativi nel riconoscimento dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5) che non sarebbe stata espressamente riconosciuta dal primo giudice, nonostante la stessa fosse decisiva per l'applicazione della misura.


1.1.1. Con riguardo al potere integrativo del Tribunale per il riesame il collegio ribadisce che lo stesso non è legittimo solo nel caso in cui la motivazione sugli elementi che legittimano il vincolo sia del tutto assente. E' vero infatti che l'ordinanza che dispone la misura cautelare deve contenere, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, "l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali assumono rilevanza", nonchè "la valutazione degli elementi a carico" dell'indagato. Deve però rilevarsi che con la novella del 2015 il Legislatore non ha inteso introdurre un elemento di innovazione nella schema dei poteri decisionali rimessi al Tribunale del Riesame, che rimane l'organo al quale è devoluto nella più ampia latitudine possibile, il controllo della misura cautelare, tanto che può confermare o annullare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse ovvero per motivi diversi da quelli enunciati, di talchè, anche in presenza di nullità rilevabili di ufficio, ai sensi dell'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis), il Tribunale del riesame ha il potere di rimediare alle carenze motivazionali del provvedimento impugnato, con esclusione dei soli casi nei quali manchi del tutto il segno grafico della motivazione del provvedimento ovvero quando il supporto motivazionale sia meramente apparente. Si ribadisce cioè che il Tribunale per il riesame non essendo giudice di mera legittimità bensì anche del merito, pure in ragione dell'effetto interamente devolutivo di tale specifica forma di gravame, non deve dichiarare la nullità di un provvedimento applicativo della misura laddove lo stesso contenga una motivazione insufficiente, incongrua o inesatta, dovendo invece operare una integrazione dell'ordinanza stessa, che deve essere annullata solo in casi "estremi", quando la motivazione sugli elementi costitutivi sia del tutto assente (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017 Cc., dep. 08/03/2018, Rv. 272596 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 49175 del 27/10/2015 Cc. (dep. 14/12/2015) Rv. 265365, Sez. 5, Sentenza n. 3581 del 15/10/2015 Cc. (dep. 27/01/2016) Rv. 266050)


1.1.2. Nel caso in esame il collegio rileva che la aggravante contestata era stata ritenuta già dal primo giudice, circostanza confermata dal fatto che, dall'analisi degli atti processuali, emerge come la difesa avesse presentato richiesta di riesame con riserva di motivi, illustrati sia in udienza che con una memoria, ed avesse contestato espressamente gli elementi sulla base dei quali l'aggravante era stata ritenuta sussistente.


Peraltro nella memoria veniva rilevato che l'insussistenza dell'aggravante era stata già dedotta in sede di interrogatorio di garanzia e che il giudice nel respingere le richieste difensive (con ordinanza dell'8 luglio) aveva evidenziato gli elementi alla base del suo riconoscimento, ovvero l'affidamento riposto nella reputazione della banca (pagg. 8 e 9 dell'ordinanza censurata).


Dunque: è lo stesso ricorrente che, nel corso dello sviluppo dell'incidente cautelare, ha confermato che l'aggravante era stata riconosciuta, pur contestando la legittimità degli elementi che avevano condotto a ritenerne la sussistenza.


In conclusione si ritiene che, per quanto non si rinvenga nel tessuto dell'ordinanza genetica un espresso paragrafo dedicato alla analisi della circostanza contestata, il suo riconoscimento emerge in modo chiaro dalla articolata e puntuale motivazione, che evidenzia chiaramente come il "luogo banca" avesse agevolato l'azione criminosa dato che rassicurava gli acquirenti circa la correttezza e legittimità dell'offerta di vendita: la ampia descrizione del quadro indiziario effettuato dal primo giudice consente cioè di rilevare - in modo implicito, ma chiaro - che la definizione della compravendita all'interno degli istituti bancari aveva favorito l'affidamento dei compratori, rassicurati dalla sede "istituzionale" che garantiva la correttezza sia delle valutazioni dei preziosi che dei prezzi indicati nei listini.


Essendo riconoscibile già nella ordinanza genetica un adeguato percorso argomentativo che esprime un effettivo vaglio degli elementi a sostegno della misura, si ritiene che il Tribunale per il riesame non abbia effettuato alcuna illegittima azione di "sostituzione", ma si sia limitato ad esercitare i suoi ordinari poteri integrativi, ribadendo e chiarendo le ragioni poste dal primo giudice a sostegno del riconoscimento dell'aggravante contestata (pagg. 10 e 11 dell'ordinanza impugnata).


1.2. Anche le doglianze rivolte specificamente nei confronti della "sussistenza" dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5 sono infondate.


Si deduceva che la stessa era stata riconosciuta valorizzando le modalità fraudolente della condotta, ovvero un elemento "costitutivo" e non "circostanziale" del reato, e che, comunque, il "luogo-banca" non era idoneo ad abbattere le capacità reattive delle vittime.


1.2.1. Il collegio ribadisce che l'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5 è integrata quando ricorrano condizioni oggettive concretamente agevolative del compimento dell'azione criminosa senza effettuarne alcuna espressa - e limitante - tipizzazione, essendo necessaria e sufficiente per il suo riconoscimento la dimostrazione della esistenza di circostanze idonee ad abbattere o affievolire le capacità reattive della vittima (in materia cfr: Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020 - dep. 17/06/2020, Cannata Roberto, Rv. 279302; Sez. 1, n. 1319 del 24/11/2010 - dep. 19/01/2011, Pellegrino, Rv. 249420; Sez. 5, n. 14995 del 23/02/2005 - dep. 21/04/2005, P.G. in proc. Bordogna, Rv. 231359).


La condizioni di minorata difesa che agevolano il diritto devono pertanto essere valutate in concreto, in relazione al tipo di delitto cui si correla l'evento circostanziale.


1.2.2. Nel caso di specie il Tribunale per il riesame rilevava come il "luogo-banca" fosse idoneo ad abbattere le capacità reattive delle vittime, che percepivano come affidabile la proposta di acquisto di beni-rifugio avanzata all'interno di istituti di bancari, che venivano ritenuti luoghi incompatibili con (se non addirittura ostativi al) compimento di attività fraudolente del tipo di quelle contestate (pag. 11 della ordinanza impugnata).


La condotta delittuosa risultava infatti favorita dalla parvenza di affidabilità dei prezzi - invero "gonfiati" - indicati nei listini di vendita dei diamanti, offerti in visione all'interno degli istituti di credito, luoghi percepiti dai compratori come rassicuranti ed affidabili.


Rispetto a tale nucleo della condotta fraudolenta - sulla quale si innestava l'attività di autoriciclaggio - il "luogo-banca", svolgeva una innegabile funzione di abbattimento delle capacità reattive delle vittime: la compravendita di diamanti in ambiente bancario è stata infatti percepita come più affidabile rispetto a quella che si perfeziona in altri luoghi nei quali, ragionevolmente, l'offerta dei preziosi avrebbe attivato nei compratori una maggiore attenzione alla affidabilità listini ed alla reddittività dell'investimento.


Non può quindi ritenersi, contrariamente a quanto dedotto, che vi sia confusione tra azione fraudolenta ed evento circostanziale, dato che la truffa contestata avrebbe potuto essere consumata anche in altri luoghi, privi delle caratteristiche che sono state ritenute in concreto agevolative della azione delittuosa contestata.


In conclusione si ritiene che la motivazione del provvedimento impugnato sia coerente con le indicazioni fornite dalla Corte di legittimità e resista alle censure difensive.


2. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato si trova ristretto, perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.


Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.


Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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