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Diffamazione: non sussiste il diritto di critica, se si prescinde dalla verità dei fatti storici


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che pure tollera l'uso di parole forti e toni aspri, ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in una gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici su cui si fonda l'elaborazione critica (Cassazione penale sez. V - 16/12/2020, n. 9566).

Fonte: CED Cass. pen. 2021


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 maggio 2019 la Corte di Appello di Bari, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Bari in data 21 gennaio 2019, ha assolto L.A. dal reato di diffamazione aggravata ex art. 595 c.p., comma 3 con la formula perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.


2. Avverso la predetta sentenza ricorrono per cassazione le persone offese, V.R. e D.D., costituite parti civili, allegando i seguenti motivi.


2.1. Con il primo motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale ex artt. 51 e 595 c.p. nonché l'inosservanza di norme processuali ex art. 530 c.p.p., in relazione all'intervenuta assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste" in luogo della formula "perché il fatto non costituisce reato".


Si é ritenuto infatti, erroneamente, che la condotta del prevenuto fosse scriminata da un preteso esercizio del diritto di critica. Tuttavia, come é noto, l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" é la formula più favorevole, che si deve adottare laddove l'istruttoria dibattimentale non abbia consentito di accertare l'esistenza del fatto attribuito all'imputato, nella specie l'elemento oggettivo del reato e, dunque, dell'azione od omissione dell'evento o del nesso di causalità. Orbene, le valutazioni espresse nel provvedimento impugnato vertono esclusivamente sulla asserita ricorrenza della scriminante del diritto di critica.


2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l'inosservanza delle norme processuali di cui all'art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza della motivazione circa la valutazione delle prove testimoniali e documentali, le quali sono state congruamente apprezzate nella sentenza di condanna di primo grado, ed invece ignorate nella sentenza impugnata. Risulta quindi presente il vizio di motivazione ed in particolare la violazione dell'obbligo di motivazione cd. rafforzata.


2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deducono l'inosservanza di norme processuali ed il vizio di motivazione con specifico riferimento alla memoria delle parti civili prodotta in appello.


Fermo infatti quanto rilevato con il secondo motivo, si evidenzia che é possibile ravvisare la denunziata violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata anche con riferimento al contenuto della memoria difensiva prodotta in appello dalle parti civili. In particolare, le parti civili rappresentavano, nella memoria in questione, come la suggestiva ed allusiva formulazione del manifesto, che veicolava il messaggio per il quale le persone offese non pagassero le contravvenzioni personali, pur incassando le indennità, era risultata falsa persino alla stregua delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del proprio esame dibattimentale. Pertanto, si imponeva a carico del giudice di secondo grado uno specifico onere motivazionale anche sul versante del contenuto della memoria difensiva delle parti civili, nonché delle emergenze in essa richiamate, le quali, invece, come desumibile dalla mera lettura della sentenza impugnata, non hanno trovato alcun cenno.


E' inoltre riscontrabile un ulteriore aspetto del vizio per avere la sentenza impugnata addirittura travisato il documento datato (OMISSIS). Infatti, il Tribunale aveva correttamente ravvisato la falsità della affermazione "non pagano i canoni dovuti, ma prendono le indennità" tramite il detto documento, il quale dimostrava l'attivazione, da parte delle persone offese, delle procedure legali per il recupero dei crediti vantati dal comune affittuario.


Al contrario, la pronuncia d'appello opera un vero e proprio travisamento della citata prova documentale, confondendo tra la posizione inadempiente del partito locatario e quella delle altre persone offese che, come correttamente riconosciuto dal Tribunale, avevano dato prova, attraverso il documento prodotto in data (OMISSIS), di aver attivato le procedure per il recupero dei crediti. Ne consegue la falsità dell'accusa racchiusa in frasi quali "non pagano i canoni, ma prendono le indennità".


2.4. Con il quarto motivo si eccepisce, ancora, la falsità delle affermazioni oggetto di incriminazione, deducendosi il vizio della violazione di legge e quello argomentativo per avere la sentenza impugnata proceduto a valutare il complessivo compendio probatorio secondo una assai censurabile parcellizzazione, senza pervenire a quella valutazione unitaria della prova che é principio cardine del processo penale, che avrebbe invece consentito di giungere alle conclusioni raggiunte nella pronuncia di primo grado in termini di non veridicità dei fatti attribuiti alle persone offese.


2.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce altresì il vizio della violazione di legge per avere l'impugnata sentenza erroneamente riconosciuto l'esimente del diritto di critica, laddove si é invece in presenza di una condotta diffamatoria consumata con le perentorie affermazioni di fatti, risultati non veri, e non di fronte alla formulazione di giudizi di valore.


2.6. Si denuncia ancora, con il sesto motivo di ricorso, l'inosservanza di norma sostanziale ed il vizio motivazionale in relazione alla formulazione degli addebiti in questione.


Invero, il denunciato superamento del limite del principio di verità, al momento dell'affissione del manifesto, veniva correttamente riconosciuto dalla sentenza di primo grado, laddove si statuiva, in primo luogo, come fosse "del tutto falsa la ascrizione ai due querelanti della violazione del codice della strada", ed, in secondo luogo, che fosse "parimenti non veritiera la notizia del mancato pagamento dei canoni". Al contrario, la sentenza impugnata ha preteso di ritenere scriminata la condotta del prevenuto, asserendo una giustificazione postuma circa la veridicità del fatto posto alla base della critica, omettendo invece di valutare le plurime prove documentali e testimoniali che evidenziano la falsità dei fatti posti a fondamento del diffamante manifesto.


2.7. Con il settimo ed ultimo motivo di ricorso si deducono l'erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione ai principi di verità e continenza.


La causa di giustificazione del diritto di critica, innanzi richiamata, oltre a non essere applicabile nel caso di specie, risulta in ogni caso viziata a causa delle violazioni dei principi di verità e continenza.


Per tutto quanto sopra esposto, si chiede l'annullamento della impugnata sentenza.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é fondato e merita accoglimento.


Esso, pur dipanandosi nella formulazione di svariati motivi, si incentra su un'unica, fondata, contestazione di fondo che ruota intorno alla motivazione della pronuncia impugnata, la quale, nell'assolvere sbrigativamente al compito argomentativo - vieppiù accurato in caso di ribaltamento della pronuncia di condanna di primo grado - ha finito non solo col trascurare fondamentali passaggi ricostruttivi e logici contenuti nella pronuncia di primo grado, evidenziati anche nella memoria di parte, qui ricorrente, ma anche con il giungere ad affermare la veridicità dei fatti oggetto delle affermazioni contenute nel manifesto incriminato, e ciò nonostante il puntuale esame delle emergenze processuali del primo giudice avesse invece dato conto della loro sostanziale falsità.


In altri termini la motivazione fornita dai giudici di secondo grado non soddisfa affatto le esigenze di completezza e adeguatezza richieste dalla costante giurisprudenza di questa Corte.


A tal proposito, é dato innanzitutto osservare che, come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte, "il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva"(Cass. pen., Sez. U., sent. n. 14800 del 21 dicembre 2017, Troise, RV. 272430).


Il giudice di secondo grado il quale riformi totalmente la decisione di primo grado, come nel caso di specie, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, nonché di confutare specificatamente i più rilevanti argomenti della motivazione emessa in primo grado, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza e/o incoerenza. Al contrario, il riformante non può semplicemente limitarsi ad imporre la propria valutazione asserendo che sia preferibile rispetto a quella coltivata nel provvedimento impugnato (v. Cass. pen., sez. VI, sent. n. 10130 del 20 gennaio 2015, Marsili, RV. 262907; Cass. pen., sez. U., sent. n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, RV. 231679).


La costante giurisprudenza di legittimità statuisce, dunque, la sussistenza di un dovere di motivazione puntuale in capo al giudice di appello che intenda riformare la sentenza di primo grado (v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 6880 del 26 ottobre 2016, RV. 269523), obbligo al quale non si é adempiuto nel caso di specie.


1.1. Mentre infatti la sentenza di condanna di primo grado correttamente motivava come fosse "del tutto falsa la ascrizione ai due querelanti della violazione del codice della strada, come invece l'ammiccante forma espositiva del manifesto lasciava chiaramente intendere prospettando un interesse diretto a rendersi inottemperanza all'obbligo di pagare la relativa sanzione", la sentenza impugnata si é solo limitata ad affermare, quanto alla asserita violazione del codice della strada, che "l'episodio sul quale é stata decisa la sentenza di primo grado, fondata sulle testimonianze del teste P. e Pa. - che avevano ricondotto il mancato pagamento in questione alla precedente amministrazione - non pare l'unico né decisivo per potere risolvere il presente processo", facendo poi riferimento alla circostanza secondo cui diversi veicoli del Comune risultavano comunque sottoposti a fermo amministrativo da parte di Equitalia già dal febbraio del 2011 (e per alcuni di essi vi era stata la revoca a seguito del pagamento dopo l'affissione del manifesto risalente ad (OMISSIS)).


Lo stesso vizio motivazionale é ravvisabile con riferimento alla seconda accusa ("non pagano i canoni dovuti, ma prendono le indennità"), in quanto in questo caso la sentenza impugnata trascura il documento datato (OMISSIS), ritenuto invece decisivo dal tribunale che aveva ravvisato la falsità della affermazione "non pagano i canoni dovuti, ma prendono le indennità" proprio tramite il detto documento, il quale dimostrava l'attivazione, da parte del Comune delle procedure legali per il recupero dei crediti vantati dal medesimo ente quale affittuario. Conseguentemente, il giudice di primo grado sulla base di esso motivava che "parimenti non veritiera é la notizia del mancato pagamento dei canoni relativi all'affitto di un immobile in favore di una formazione politica atteso che risulta che la giunta intera dispose l'attivazione delle procedure per il recupero del credito vantato dal comune affittuario". La sentenza prosegue rilevando che "anche in questo caso la affermazione é diffamatoria poiché allude inequivocabilmente a una strumentalizzazione delle rispettive funzioni per favorire un privato (nello specifico il partito politico che era conduttore del locale) a detrimento dell'interesse dell'ente pubblico rappresentato"; mentre invece nulla di certo é stato esplicitato - in verità né da parte del primo giudice che del secondo - in ordine ai motivi delle inadempienze e alla loro risalenza nel tempo, ricondotte per la sola circostanza della coincidenza politica del partito locatario con il vice-sindaco ad illecita tolleranza; inadempienze a cui comunque si era posto rimedio già prima del manifesto mediante l'instaurazione di un procedimento recuperatorio.


Di là di tali aspetti che involgono la valutazione del fatto, che dovranno necessariamente costituire oggetto di approfondimento da parte del giudice del rinvio, rimane in ogni caso evidente la lacuna della motivazione impugnata. Questa, invero, come denunciato in ricorso, é incorsa anche in una sorta di travisamento della citata prova documentale, confondendo tra la posizione inadempiente del partito locatario - al più riconducibile al solo vice-sindaco - e quella delle persone offese che, come correttamente riconosciuto dal Tribunale, avevano dato prova, attraverso il documento prodotto in data (OMISSIS), di avere già attivato le procedure per il recupero dei crediti (ciò nonostante, peraltro, nel manifesto, esse sono affacciate come se costituissero un unico corpo che agisce concordemente in maniera illecita).


1.2. La motivazione della sentenza impugnata risulta viziata anche sotto l'ulteriore profilo pure evidenziato in ricorso con il quarto motivo. Ed invero, la corte territoriale, come correttamente denunciato dalle parti civili, ha proceduto a valutare il complessivo compendio probatorio mediante una sostanziale inammissibile parcellizzazione, senza pervenire a quella valutazione unitaria della prova che é principio cardine del processo penale.


E' infatti censurabile la sentenza che parcellizzi la valenza significativa di ciascun elemento probatorio, analizzandolo e valutandolo separatamente ed in modo atomizzato dall'intero contesto probatorio, astenendosi in tal modo dalla formulazione di un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali, che possa tener conto non soltanto del valore intrinseco di ciascun dato, ma anche, e soprattutto, delle connessioni esistenti tra tali dati.


In particolare, nel caso di specie, la Corte d'Appello di Bari ha ritenuto che la sentenza dovesse essere riformata ritenendo sussistente il diritto di critica - salvo poi ad affermare nella parte finale della motivazione proprio la insussistenza del fatto per essere vere le circostanze indicate nel manifesto - semplicemente osservando come gli elementi posti a base del ragionamento del giudice di primo grado non fossero gli unici sui quali fondare il proprio convincimento, ed introducendo la vicenda del fermo amministrativo senza fornirsi le necessaria specifiche coordinate fattuali al riguardo che potessero dar conto della effettiva riferibilità alle persone offese di inadempimenti dettati quanto meno da cattiva gestione amministrativa (laddove forse tramite il messaggio si intendeva anche proprio insinuare che i due amministratori da un lato non riscuotono i canoni per favorire qualcuno e dall'altro poi non pagano le multe, con ciò introducendosi un ulteriore elemento, ovvero una correlazione, rimasto anch'esso privo di approfondimento).


Manca pertanto un autonomo ragionamento da parte dei giudici di secondo grado, che non si limiti ad una valutazione soltanto superficiale degli elementi di prova contrapposti.


1.3. Quanto poi alla asserita natura non diffamatoria delle frasi contenute nel manifesto, ritenute scriminate dal diritto di critica, non si può non condividere anche l'impostazione in diritto dei ricorrenti che hanno evidenziato come in ogni caso nell'ipotesi in esame non si verte nell'ambito della critica politica, essendo le accuse state mosse con perentorie affermazioni di fatti - la cui falsità o veridicità non é stata neppure adeguatamente vagliata nelle pronuncia impugnata e ciò a fronte delle puntuali valutazioni del giudice di primo grado - e non invece mediante la formulazione di giudizi di valore.


La condotta in questione si é estrinsecata mediante affermazioni tranchant ma al contempo ambigue - così quelle aventi ad oggetto il mancato pagamento al Comune proprietario dell'immobile dei canoni di locazione da parte della Sezione di Alleanza Nazionale ovvero del partito del Vice-Sindaco D., mancato pagamento che nonostante abbia comportato, come detto nello stesso manifesto, l'attivazione di un procedimento di ingiunzione da parte dell'amministrazione e del sindaco viene attribuito anche a quest'ultimo, asserendosi "in sintesi i nostri eroi non pagano i canoni dovuti, ma prendono le indennità", in tal modo affasciandosi la figura del Sindaco a quella del Vice-Sindaco accomunati nella medesima illiceità - o generiche - così quelle che alludono al mancato pagamento delle contravvenzioni al codice della strada sottolineando contemporaneamente sempre l'incasso delle indennità da parte dei predetti definiti nostri eroi -; tali affermazioni, come correttamente riconosciuto dal Tribunale, ciò nondimeno - nonostante cioé la loro evidente sommarietà ed ambivalenza - veicolavano l'illegalità dell'operato delle persone offese volutamente inquadrato nell'ambito dell'illiceità mediante il riferimento a fatti oggetto di affermazioni assertive che rivolte peraltro alla collettività dei cittadini, ovvero a chi ben poteva non essere al corrente delle eventuali situazioni e dinamiche realmente createsi nel Comune, non potevano che avere l'effetto di trasmettere il messaggio che ci si era riproposti di dare - i due amministratori commettono illeciti se non dei veri e propri reati e al contempo intascano i soldi del Comune (laddove lasciavano intendere, quanto alle contravvenzioni, che le persone offese - abusando dei loro pubblici uffici - quanto meno venivano meno all'obbligo di pagare le contravvenzioni, mentre, con riferimento al mancato pagamento dei canoni, alludevano ad una strumentalizzazione dei pubblici uffici per favorire il partito politico locatario dell'immobile, in pregiudizio dell'interesse pubblico dell'ente rappresentato).


Al cospetto di tali addebiti di illegalità, formulati con perentorie affermazioni in fatto, accertate dal tribunale essere false, la corte territoriale avrebbe dovuto confutarne la falsità in maniera ben più penetrante, appropriata ed aderente alle risultanze processuali.


Invero, il denunciato superamento del limite del principio di verità, al momento dell'affissione del manifesto, veniva riconosciuto dalla sentenza di primo grado, laddove si statuiva, in primo luogo, come fosse "del tutto falsa la ascrizione ai due querelanti della violazione del codice della strada", ed, in secondo luogo, che fosse "parimenti non veritiera la notizia del mancato pagamento dei canoni".


Circa la violazione del principio di verità, pure denunciata, si rammenta che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte é causa di giustificazione solo la critica che rispecchia la verità dei fatti narrati. Pertanto, il fatto che costituisce il presupposto delle espressioni critiche deve essere vero, in quanto non può assolutamente ritenersi lecita la condotta consistente nell'attribuire ad una persona comportamenti mai tenuti ovvero frasi mai pronunciate, per poi esporli a critica come se tali parole e tali fatti fossero davvero attribuibili alla persona in questione.


E se é vero che la rivisitazione di un fatto può costituire valido strumento di prospettazione della propria valutazione critica (cfr. al riguardo Sez. 5, n. 6416 del 16/11/2004 - dep. 21/02/2005, P.C. in proc. Ambrogio, Rv. 23139701 secondo cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste l'esimente del diritto di critica allorché il rappresentante di una formazione politica di minoranza compia una lettura o rivisitazione di fatti veri traendone la conclusione che essi costituiscano espressione di un modo di gestione della cosa pubblica ispirata ad interessi di parte, in quanto la critica - ancorché non possa essere avulsa da ogni riferimento alla realtà sostanziale e tradursi in mera astrazione diffamatoria o pura invenzione congetturale costituisce attività speculativa che non può pretendersi asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali ma, per sua stessa natura, consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula.), é però al contempo altrettanto vero che ai fini del riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, e specificamente di critica politica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica; sicché l'esimente non é applicabile qualora l'agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati (Sez. 5 -, Sentenza n. 7798 del 27/11/2018 Ud., dep. 20/02/2019, Rv. 276026 - O Sez. 5, Sentenza n. 8721 del 17/11/2017 Ud., dep. 22/02/2018, Rv. 272432 - 01).


Orbene, nel caso di specie la pronuncia impugnata nell'offrire una motivazione carente in punto di analisi di tutti gli aspetti fattuali della vicenda ha finito anche con lo scontrarsi con tale principio di verità, la cui affermazione in relazione a fatti descritti nei termini perentori ma approssimativi adoperati nel caso di specie, non avrebbe potuto intervenire senza un preventivo vaglio ben più incisivo, né tanto meno costituire la base su cui innestare il correlato giudizio di continenza.


Quanto alla prima affermazione ("non pagano i canoni dovuti, ma prendono le indennità"), la corte territoriale avrebbe dovuto dapprima verificare se, alla luce del compendio probatorio a disposizione e già vagliato con un determinato percorso logico-ricostruttivo dal giudice di primo grado - che aveva dato conto di come la stessa giunta comunale avesse attuato una procedura esecutiva per il recupero dei canoni di locazione, procedura che veniva avviata in data anteriore rispetto al momento dell'affissione del manifesto in contestazione -, vi fosse spazio per una diversa valutazione del fatto, specificandone dettagliatamente i motivi.


Quanto alla seconda affermazione ("non pagano le contravvenzioni al codice della strada, ma prendono le indennità"), oltre a tutto il resto, già evidenziato, vi é l'ulteriore annotazione dei ricorrenti secondo cui sarebbe stato tra l'altro lo stesso imputato, in sede di esame dibattimentale, a esplicitare che si era trattato di un'unica contravvenzione, e che la stessa non era in alcun modo riferibile ai querelanti, essendo maturata nel corso della precedente amministrazione.


1.4. La pronuncia impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello che nel procedere a nuovo esame della vicenda vorrà anche tener conto, oltre che dei principi già indicati, che, secondo la giurisprudenza di questa corte, in ogni caso, non ricorre l'esimente della critica politica laddove sia fatto uso di espressioni generiche e non collegabili a specifici episodi (come sembra avvenuto nel caso di specie quanto meno in relazione alle contravvenzioni al C.d.S.).


Invero, la eccessiva genericità delle espressioni utilizzate, non agganciate a precisi fatti storici, rendono i toni utilizzati gratuitamente infamanti, in quanto non volti a realizzare un intento informativo ovvero a soddisfare un legittimo esercizio del diritto di critica, ma finalizzati al contrario a cagionare offese gratuite alla reputazione e all'onore delle persone offese.


Circa la sussistenza o meno della esimente costituita dal diritto di critica, in punto di diritto va inoltre osservato che se é vero che "in tema di diffamazione a mezzo stampa, la sussistenza dell'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo ma sia ‘contenutà (requisito della continenza) nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto, fermo restando che, entro tali limiti, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell'agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da forte asprezza" (Cass. pen., sez. V, sent. n. 3047 del 13 dicembre 2010, Belotti, RV. 249708), é , tuttavia, altresì vero che, come affermato sempre con riferimento all'ipotesi della diffamazione a mezzo stampa, ma i termini della questione non cambiano rispetto alla diffamazione in esame, " non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica, che pure tollera l'uso di espressioni forti e toni aspri, ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili" (Cass. pen., sez. V, sent. n. 48712 del 26 settembre 2014, Magistà e altro, RV. 26148901).


Con specifico riferimento al diritto di critica politica, é dato osservare che il rispetto della verità del fatto assume un rilievo più limitato, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza che riveste tale profilo in relazione al diritto di cronaca, in quanto la critica - a differenza della cronaca - si caratterizza per essere l'espressione di un'opinione meramente soggettiva, che ha per sua stessa natura carattere congetturale, e che non può, per definizione, pretendersi essere rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass. pen., sez. V, sent. n. 4938 del 28 ottobre 2010, Simeone e altri, RV. 249239), ciò nondimeno laddove essa tragga spunto o si fondi su fatti che vengono fatti passare, tout court, come veri, non si potrà prescindere innanzitutto dalla veridicità dei fatti medesimi.


In tema di diffamazione a mezzo stampa, presupposto imprescindibile per l'applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica é infatti la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, Sentenza n. 7715 del 04/11/2014 Ud. (dep. 19/02/2015) Rv. 264064 - 01).


Nel caso di specie, ove peraltro le accuse sono state formulate nell'ambito di un pubblico manifesto, senza dunque la presenza di un contraddittore e/o intervistatore, il concetto che si é voluto esprimere e veicolare in maniera netta e certa é senza dubbio l'incompetenza politica delle parti offese, le quali avrebbero svolto il proprio mandato in spregio all'interesse pubblico ed a favore invece dei propri interessi personali, ma nella misura in cui per esprimere tale concetto si sono adoperati degli esempi fattuali indicati come avvenuti e sintomatici non solo della incapacità dei due amministratori ma anche della illiceità del loro modo di operare, rimane evidente che quel messaggio può ritenersi nel suo complesso lecito solo se la premessa in fatto a cui si ancora l'apprezzamento di disvalore sia vera o non sia stata comunque distorta (da qui la necessità dell'approfondito vaglio - invece mancato nella sentenza impugnata - della veridicità o meno dei due fatti indicati costituenti il nucleo essenziale del messaggio suscettibile di essere ritenuto diffamatorio).


Il nodo centrale riguarda proprio anche la stessa modalità espressiva delle accuse (la quale, di là della possibile voluta ambiguità - circostanza che già di per sé potrebbe deporre per un disegno volto al discredito più che alla denuncia di illeciti -, avrebbe dovuto comportare quanto meno un più penetrante vaglio dei fatti).


Di qui la necessità del nuovo esame da parte del giudice di merito, trattandosi di procedere proprio anche a delle verifiche in fatto e a delle valutazioni del compendio probatorio non operabili in sede di legittimità.


2. Quanto alle spese, la loro regolamentazione, in considerazione del disposto annullamento, non potrà che competere al giudice di merito.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.


Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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