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Lesioni personali: anche il dolo eventuale può integrare l'elemento psicologico


Corte di Cassazione

La massima

Integra l'elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che dalla propria azione derivino o possano derivare danni fisici alla vittima. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva riconosciuto la responsabilità dell'imputato a titolo di concorso nel reato, per avere bloccato e spinto fuori dalla propria abitazione un agente di polizia, continuando a tenerlo stretto anche mentre il coimputato, chiamato in aiuto, lo aveva, a sua volta, spinto, facendolo cadere a terra - Cassazione penale , sez. IV , 11/06/2019 , n. 28891).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. IV , 11/06/2019 , n. 28891

RITENUTO IN FATTO

1. C.V. ha proposto ricorso, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza in epigrafe, con la quale ne è stata confermata l'affermazione di responsabilità per i reati di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nonchè resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali, commessi in (OMISSIS), lamentando:


a. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, laddove la sentenza impugnata si sarebbe soffermata sull'inserimento del ricorrente in "lucrosi traffici" mentre vi sarebbero stati tutti gli indici del c.d. "piccolo spaccio".


b. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al concetto di malattia rilevante perchè possa configurarsi il reato di lesioni personali, assumendosi in ricorso che non può rientrarvi la contusione, perchè la "malattia" rilevante è costituita da una situazione suscettibile di essere fonte e causa di limitazioni funzionali e non può essere costituita da una mera alterazione anatomica".


Si contesta, inoltre, la configurabilità nel caso che ci occupa del dolo di lesioni personali volontarie.


Chiede, pertanto, in via principale sollevarsi questione di illegittimità costituzionale, in subordine annullarsi la sentenza impugnata in relazione ai primi due motivi di rinvio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi proposti sono infondati.


La sentenza impugnata offre, infatti, una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 la Corte territoriale ha ancorato ad una valutazione delle circostanze concrete del fatto, con particolare riferimento alla contestuale detenzione spazio temporale di due sostanze diverse (che, come ricordato correttamente, non può costituire, da sola, ragione sufficiente ad escludere l'ipotesi di lieve entità, ma va valutata nel complesso dell'intera vicenda), alla consistente quantità soprattutto della cocaina e alle modalità di organizzazione dell'attività di spaccio, indicativa di una stabile e consolidata dedizione allo stesso dell'odierno ricorrente.


La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 - anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. in L. n. 10 del 2014) e della L. 16 maggio 2014, n. 79 che ha convertito con modificazioni il D.L. 20 marzo 2014, n. 36 - può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (cfr. ex multis, sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l'esclusione dell'attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell'attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l'elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell'attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell'attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).


Va anche qui ribadito il dictum di questa Corte di legittimità secondo cui in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5; ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell'autore di diffondere in modo non episodico, nè occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (conf. Sez. 3, n. 6871 dell'8/7/2016 dep. il 2017, Bandera, Rv. 269149). E va anche ricordato il condivisibile principio, pure affermato di recente da questa Corte di legittimità - e che va qui ribadito - che, ai fini del riconoscimento dell'ipotesi lieve prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, quando ricorre la contestuale detenzione spazio-temporale di sostanze stupefacenti di diversa natura, deve effettuarsi un'unica, complessiva valutazione della condotta illecita (così Sez. 4, n. 28561 del 25/05/2016, Zuccaro, Rv. 267438, fattispecie in cui la Corte ha escluso il riconoscimento dell'ipotesi lieve con riferimento alla condotta di detenzione di droga "pesante", unitamente ad una rilevante quantità di droga leggera).


2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.


Già la Corte territoriale aveva risposto argomentatamente allo stesso, evidenziando come, le contusioni riportate dall'Assistente P. alla spalla sinistra (con escoriazioni) ed all'anca sinistra avessero comportato una alterazione anatomica del corpo con apprezzabile limitazione funzionale delle parti dell'organismo interessate, tenuto conto anche della prognosi di guarigione, stimata dai sanitari in ben sette giorni. E come, d'altra parte, contrariamente all'assunto difensivo, il C. non si fosse affatto limitato ad allontanare l'Assistente P. dalla stanza, ma lo aveva bloccato con forza e spinto fuori dall'abitazione; peraltro, aveva invocato l'aiuto del B., al fine evidente di riuscire nel proprio proposito, il quale aveva spinto, a sua volta, il poliziotto con forza "al fine di aumentare la consistenza della spinta", tanto che quest'ultimo cadeva a terra fuori dell'appartamento, unitamente a C. (il richiamo, in sentenza, è alla c.n.r. della Questura di Trapani - Squadra Mobile - del 3/11/2017 e al verbale di arresto dell'odierno ricorrente del 2/11/2017, atti pienamente utilizzabili essendosi proceduto con rito abbreviato).


La sentenza impugnata, dunque, opera un buon governo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità - che va qui ribadita - secondo cui la contusione, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell'organismo, costituisce malattia ai sensi dell'art. 582 c.p. (così, tra le tante, Sez. 5, n. 22781 del 26/04/2010, L., Rv. 247518, in relazione a contusione giudicata guaribile in tre giorni, nonchè Sez. 6, n. 10986 del 13/1/2010, Apicella Rv. 246679 secondo cui l'ecchimosi, consistente in una infiltrazione di sangue nel tessuto sottocutaneo, ed il trauma contusivo, che determina una, sia pur limitata, alterazione funzionale dell'organismo, sono riconducibili alla nozione di malattia ed integrano pertanto il reato di lesione personale; Sez. 5, n. 36657 del 5/06/2008, Ballandi, Rv. 241343; Sez. 7, ord. n. 29786 del 31/5/2016, Ferro, Rv. 268034)


E' provato, dunque, secondo la motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto della Corte palermitana, il contributo dell'odierno imputato, a titolo di concorso, nella realizzazione del delitto di lesioni personali (oltre che di quello di resistenza a pubblico ufficiale), in quanto, dopo avere bloccato e spinto energicamente l'Assistente P. per farlo uscire dalla sua abitazione, aveva continuato evidentemente a tenerlo stretto anche mentre B., al fine di aiutarlo, spingeva a sua volta il poliziotto.


Correttamente, infine, la Corte palermitana rileva, quanto all'elemento psicologico del reato, sussistono nel caso che ci occupa tutti gli indici sintomatici del dolo, quanto meno eventuale, in capo all'imputato, il quale si era certamente rappresentato ed aveva accettato le conseguenze della prolungata ed energica azione violenta posta in essere, come la caduta dell'Assistente P. da cui derivavano allo stesso alcune contusioni alla spalla ed all'anca.


Anche in questo caso, dunque, la pronuncia impugnata si colloca nel solco della richiamata giurisprudenza di legittimità secondo cui per la sussistenza del dolo di lesioni non è necessario che la volontà del soggetto agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, essendo sufficiente la consapevolezza che la propria azione provochi ovvero possa provocare danni fisici alla vittima; basta, quindi, il dolo generico che deve reputarsi sussistente anche nella forma eventuale (cfr. ex multis Sez. 5, Sentenza n. 17985 del 09/01/2009, Presicci, Rv. 243973; Sez. 5, n. 35075 del 21/04/2010, B., Rv. 248394; Sez. 6, n. 7389 del 24/1/2014, Bertocco, Rv. 258803, con riguardo al caso dell'investimento di un poliziotto da parte dell'agente, intenzionato a forzare il posto di blocco con il proprio ciclomotore).


3. Nonostante l'infondatezza dei motivi di ricorso, occorre tuttavia tenere conto che, nelle more del giudizio, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 40/2019 del 23 gennaio 2019, depositata in data 8 marzo 2019 e pubblicata sulla G. U. n. 11 del 13/03/2019, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, contestato tra l'altro all'odierno imputato, per violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e di rieducazione della pena di cui all'art. 27 Cost., nella parte in cui esso prevede un minimo edittale di otto anni di reclusione, anzichè di anni sei, limite quest'ultimo già rinvenibile nell'ordinamento e ritenuto più adeguato ai fatti "di confine" nel sistema punitivo dei reati connessi al traffico degli stupefacenti.


Ne consegue la sopravvenuta illegalità della pena determinata sulla base di parametri edittali in vigore al momento del fatto e successivamente dichiarati incostituzionali con la citata sentenza (si è partito, infatti, da una pena base di anni otto di reclusione ed Euro 26.000 di multa).


La radicale modifica del quadro normativo di riferimento impone, infatti, la valutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso alla luce dei principi sulla successione di leggi nel tempo dettati dall'art. 2 c.p., comma 4, nonchè dall'art. 7, par. 1, CEDU, secondo cui l'imputato ha diritto di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato, che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza, fino a che non sia intervenuta sentenza passata in giudicato (cfr. Sez. Un. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264206, per il caso dei parametri edittali previsti per le cc.dd. droghe leggere, a seguito della declaratoria d'incostituzionalità di cui alla sentenza n. 32 del 2014).


S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo.


Il proposto ricorso va, invece, rigettato nel resto, con conseguente declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità ai sensi dell'art. 624 c.p.p..


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2019.


Rinvia sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo.


Rigetta il ricorso nel resto.


Visto l'art. 624 c.p.p. dichiara l'irrevocabilità della sentenza in ordine alla affermazione di responsabilità.


Così deciso in Roma, il 11 giugno 2019.


Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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