La massima
In tema di valutazione della prova, il reato di lesioni personali può essere dimostrato, per il principio del libero convincimento del giudice e per l'assenza di una gerarchia tra i mezzi di prova, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilità, anche in mancanza di un referto medico che attesti la malattia derivata dalla condotta lesiva. (Fattispecie relativa a lividi e graffi al collo ed al viso, nonché ematomi ai polsi - Cassazione penale , sez. III , 19/10/2021 , n. 43614).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale , sez. III , 19/10/2021 , n. 43614
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 23 aprile 2021, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Messina, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di S.F. per i reati di atti persecutori, violenza sessuale, violazione di domicilio, tentata violenza privata, lesioni personali ed evasione, ha escluso la recidiva e rideterminato la471
pena, riducendola, in quattro anni e sei mesi di reclusione, con diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo i giudici di merito, S.F., agendo sempre contro G.M., avrebbe: -) procurato alla donna, sua convivente e poi ex-convivente, un perdurante stato di ansia e paura, per costringerla a modificare le sue abitudini di vita, mediante condotte violente, minatorie ed offensive, protrattesi dal febbraio 2018, e concretizzatesi, dopo la fine della relazione, a partire dal maggio 2019, in pedinamenti, insulti e minacce anche in luogo pubblico, reiterati invii di messaggi, violazioni di domicilio, percosse e approcci sessuali (capo A); -) costretto la vittima a subire atti sessuali in due occasioni, la prima volta palpeggiandola e sfilandole i vestiti, il 4 luglio 2019, e la seconda volta baciandola e accarezzandola, il 24 luglio 2019 (capo B); -) fatto ingresso, in tre occasioni, tra il maggio ed il luglio 2019, nell'abitazione della persona offesa, contro la volontà di questa, e in due occasioni percuotendo la donna con degli schiaffi (capi C e G); -) commesso due fatti di tentata violenza privata, entrambi il 24 luglio 2019, prima tentando di bloccare la strada alla donna mentre guidava l'automobile, e poi strappandole di mano il telefono cellulare per impedirle di parlare con l'operatore di polizia del servizio 112 (capi D e F); -) causato in due occasioni lesioni personali alla vittima, costituite, nel maggio o giugno 2019, da lividi o graffi al collo ed al viso, e, il 24 luglio 2019, da ematomi di lieve entità ai polsi (capi E e H); -) violato la misura degli arresti domiciliari evadendo dal domicilio al fine di proseguire nelle sue condotte persecutorie, il 14 agosto 2019 (capo I).
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe S.F., con atto a firma dell'avvocato Giuseppe Romeo, articolando otto motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 192 e 196 c.p.p. nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
Si deduce che le dichiarazioni della persona offesa sono state smentite anche da quelle rese dagli altri testi del Pubblico Ministero, come quelle rese da S.F.. Si evidenzia, in particolare che mentre la vittima ha raccontato di aver subito un'aggressione fisica con calci e pugni davanti al precisato S.F. nella notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019, questi, invece, rendendo dichiarazioni articolate in proposito, ha negato qualunque colluttazione con lui o davanti a lui.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 612-bis c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori.
Si deduce che dagli atti risulta evidente come la persona offesa non abbia in alcun modo modificato le proprie abitudini di vita. Si segnala, in particolare, che, come emerge da alcune dichiarazioni testimoniali, riportate nel ricorso, la donna ha voluto festeggiare il compleanno il 7 luglio 2019 in un luogo posto nelle immediate vicinanze dell'attività commerciale dell'imputato, così manifestando di non averne alcun timore, ed inoltre la sera del 14 luglio 2019 si è recata presso l'abitazione di un'amica, ubicata nella stessa strada in cui dimorava l'imputato, in quel momento agli arresti domiciliari in un immobile insediato a poche decine di metri di distanza.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 81 e 609-bis c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di violenza sessuale.
Si deduce che la sentenza impugnata non si è confrontata con i motivi di gravame concernenti l'inverosimiglianza del racconto delle due violenze sessuali, che sarebbero avvenute nel giardino di casa, in piena estate, in località turistica, nonostante nessuno abbia sentito nulla, e sebbene la persona offesa non abbia chiamato le forze dell'ordine né si sia fatta refertare. Si aggiunge che l'episodio del toccamento con la mano sotto il vestito, anche per come raccontato dalla persona offesa, consiste in realtà in un "invito" a "fare l'amore" in un contesto tranquillo ed amichevole.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 81 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e art. 614 c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di violazione di domicilio.
Si deduce che non solo dagli atti non risulta alcuna introduzione violenta o clandestina dell'imputato nella casa della vittima, ma che, anzi, la stessa donna ha escluso tale circostanza, dicendo di aver lasciato l'ex-compagno fuori la porta.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 56 e 610 c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di tentata violenza privata.
Si deduce che le dichiarazioni della persona offesa sul punto sono incostanti ed incoerenti, e gli episodi o sono stati conosciuti solo in conseguenza delle contestazioni effettuate nel corso dell'esame testimoniale (vicenda di cui al capo D), o sono stati esclusi dalle parole della stessa donna a dibattimento (vicenda di cui al capo F).
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 61 c.p., n. 2, e art. 385 c.p. e art. 495 c.p.p., comma 2, nonché omessa assunzione di prova decisiva, nonché ancora vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di evasione.
Si deduce che le dichiarazioni della persona offesa non hanno trovato alcun riscontro, contrariamente a quanto osservato dalla Corte d'appello, e che l'ammissione della teste A.C., a conoscenza del fatto, è stata revocata solo perché quest'ultima non si è presentata a dibattimento.
2.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1., art. 582 c.p. e art. 585 c.p., comma 1, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di lesioni.
Si deduce che anche per questi reati si è omesso di considerare che l'unico elemento di prova è costituito dalle dichiarazioni della persona offesa, perché non vi sono referti, e lo stesso Carabiniere intervenuto a seguito della denuncia della donna nulla ha riscontrato.
2.8. Con l'ottavo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 62-bis, 69 e 133 c.p., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
Si deduce che le circostanze attenuanti generiche sono state negate esclusivamente in ragione dei precedenti, senza alcuna valutazione in concreto, e che manifestamente illogica è anche la spiegazione della scelta di una pena base superiore al minimo.
3. Ha presentato memoria la persona offesa, costituita parte civile, con atto a firma dell'avvocato Concetta La Torre, con la quale si chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Nella memoria, vi è una esposizione delle ragioni che, per ciascun motivo, renderebbero inammissibile il ricorso.
4. Il giorno precedente l'udienza, l'avvocato Concetta La Torre, nell'interesse della persona offesa e parte civile, ha inviato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Prive di specificità e comunque diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano il giudizio di positiva attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, deducendo che le stesse sono state smentite da quelle rese da altri testi, in particolare da S.F., il quale ha negato qualunque colluttazione.
2.1. In linea generale, deve osservarsi che non può ritenersi concludente una critica relativa alla generale attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, quando queste sono rappresentative, come nella specie, di una pluralità di episodi e fatti di reato.
Le dichiarazioni rappresentative di una pluralità di episodi, infatti, debbono essere oggetto di un'analisi specifica con riferimento a ciascuno degli accadimenti narrati, potendo essere credibili in relazione ad alcuni di essi e non in relazione ad altri, non essendo configurabile una categoria generale di attendibilità o inattendibilità soggettiva del dichiarante.
E, del resto, in questo senso, una precisa indicazione proviene dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, in materia di valutazione delle dichiarazioni degli imputati in procedimento connesso o di reato collegato, allorquando precisa che il percorso valutativo concernente la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145-01).
2.2. In ogni caso, nella specie, la critica postulante la generale inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa non si confronta con le indicazioni esposte dalla sentenza impugnata, e pone a proprio fondamento fatti processuali diversi da quelli che da questa risultano, senza però censurare il travisamento della prova.
In effetti, secondo il ricorso, le dichiarazioni della persona offesa sarebbero inattendibili perché la stessa ha raccontato di aver subito un'aggressione fisica con calci e pugni davanti a S.F. nella notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019, mentre questi avrebbe negato qualunque colluttazione con lui o davanti a lui.
La sentenza impugnata, però, precisa che S.F. ha sostanzialmente confermato il racconto della persona offesa su quanto accaduto nella notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019. Evidenzia, in particolare, che il precisato teste ha comunque affermato che: -) alle ore 3,00, mentre egli era nel cortile dell'abitazione della donna, e stava parlando con la stessa, era sopraggiunto l'imputato, il quale, mostrandosi visibilmente alterato, aveva proferito parole offensive nei confronti della vittima ed aveva invitato insistentemente lui ad allontanarsi; -) il giorno dopo, l'imputato lo aveva chiamato per invitarlo a non avere più contatti con la donna, ed era stato sufficientemente "persuasivo" da riuscire nell'intento. Segnala, inoltre, che S.F. aveva reso dichiarazioni ancora più nette in fase di indagini, e che il Tribunale, per le discrasie rilevate tra quanto affermato in quella sede e quanto detto in dibattimento, nonché in considerazione del prolungato rapporto di amicizia tra il teste e l'imputato, aveva disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le sue valutazioni.
Il ricorso, inoltre, nella sua critica sull'attendibilità in generale delle dichiarazioni della persona offesa, non si confronta in alcun modo con i rilievi della Corte d'appello, pur specificamente pertinenti a tale profilo, sulla ravvisata assenza di intenti calunniatori nella donna anche per le modalità di maturazione della scelta di presentare denuncia. In proposito, la sentenza impugnata evidenzia, significativamente, che la vittima si era rivolta informalmente al maresciallo dei Carabinieri già nel 2018, chiedendo consigli e manifestando l'intenzione di non sporgere denuncia, ed ha deciso di formalizzare le accuse solo all'esito della successione ravvicinata di eventi connotati da sempre maggiore gravità.
3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, le quali criticano l'affermazione della sussistenza del reato di atti persecutori, deducendo che la condotta dell'imputato non ha determinato la persona offesa a modificare le proprie abitudini di vita.
3.1. E' utile premettere che il delitto di atti persecutori è reato ad eventi alternativi (cfr., tra le tantissime, Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 28049701, e Sez. 5, n. 1541 del 17/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280491-01), i quali possono cioè consistere tanto in "un perdurante e grave stato di ansia o di paura", quanto in "un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva", quanto ancora nella scelta coartata della vittima di "alterare le proprie abitudini di vita".
E, proprio muovendo da questo presupposto, secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p., è stata annullata con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva ritenuto non sussistere il reato per la mancata dimostrazione unicamente del mutamento delle abitudini di vita della vittima (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265231-01).
Si può aggiungere, inoltre, che, secondo quanto precisato da recenti decisioni, in tema di atti persecutori, l'evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa può essere anche transitorio, ma non occasionale (così Sez. 5, n. 17552 del 10/03/2021, B., Rv. 281078-01, la quale ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 612-bis c.p. in un caso in cui la vittima era stata costretta a trasferirsi per alcuni giorni nell'abitazione di un amico, per il timore ingeneratole dal comportamento intimidatorio dell'imputato, che le aveva incendiato l'autovettura).
3.2. La sentenza impugnata rappresenta che la persona offesa, per effetto del comportamento persecutorio ed ossessivo dell'imputato, ha cambiato le sue abitudini di vita ed è vissuta in un costante stato di ansia.
La Corte d'appello, precisamente, evidenzia che, a seguito delle condotte dell'imputato, la persona offesa è stata costretta a chiedere ospitalità a parenti ed amici, nonché ad allontanare il figlio minore dalla sua abitazione, per evitare di farlo assistere ai continui litigi, è stata continuamente seguita e pedinata, ed è stata anche isolata nel contesto sociale di riferimento. In particolare, si osserva che: a) la persona offesa, dopo l'aggressione protrattasi per l'intera notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019, aveva mandato via di casa il figlio, facendolo ospitare dal nonno; b) la medesima persona offesa, la notte successiva aveva chiesto ospitalità ad altri e non aveva fatto rientro in casa, sì che l'imputato, alle ore 2,24, le aveva mandato ripetuti messaggi WhatsApp, chiedendole dove fosse e preannunciandole, per il rientro una "sorpresa"; c) l'imputato aveva percosso la persona offesa in più occasioni, una volta anche per rimproverarla perché aveva trascorso due giorni fuori da casa, e ripetutamente era entrato a casa della donna, contro la volontà della stessa, anche in orario notturno, ad esempio il 24 luglio 2019, allorché aveva ispezionato l'abitazione alla ricerca di altri possibili "compagni" nonché proferito minacce di morte, fino all'intervento dei Carabinieri; d) l'imputato aveva intimato a varie persone come S.F., A.C., A.N. ed il di lei marito B.A., anche con minacce di aggressioni fisiche, di non frequentare più la vittima, molto spesso riuscendo nell'intento; e) l'imputato, come constatato anche da A.C. e da A.N., con insistenza ossessiva effettuava telefonate e inviava messaggi alla persona offesa, tanto da indurre quest'ultima a bloccare il contatto telefonico.
3.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e dei fatti esposti in motivazione, le conclusioni della sentenza impugnata circa la sussistenza del reato di atti persecutori sono immuni da vizi.
Invero, le condotte descritte evidenziano sia "un perdurante e grave stato di ansia o di paura" nella vittima, sia "un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva", sia la necessità di "alterare le proprie abitudini di vita", inteso quest'ultimo evento in una prospettiva transitoria, ma non occasionale.
4. Infondate sono le censure presentate nel terzo motivo, che contestano l'affermazione della sussistenza dei reati di violenza sessuale, deducendo, in particolare, l'inverosimiglianza del racconto della persona offesa, stante la possibilità di richiamare l'attenzione di altre persone e la mancata denuncia ai Carabinieri, nonché il fraintendimento dei comportamenti dell'imputato, costituenti in realtà un "invito" a "fare l'amore".
La sentenza impugnata, in effetti, ha descritto i due episodi di violenza sessuale addebitati all'imputato nei capi di accusa e ha ritenuto gli stessi provati sulla base delle considerazioni generali svolte in ordine all'attendibilità del racconto della persona offesa. In particolare, si rappresenta che: a) la notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019, l'odierno ricorrente, dopo vari litigi, e mentre entrambi si trovavano nel giardino esterno alla casa della vittima, si era avvicinato alla stessa per baciarla e cercando di sfilarle gli indumenti, per poi desistere; b) la notte del 24 luglio 2019, l'odierno ricorrente, dopo essersi introdotto a casa della vittima, e dopo continui litigi, aveva bloccato la donna per le braccia, trattenendola con forza sugli avambracci e provocandole lividi ai polsi, l'aveva baciata e l'aveva palpeggiata mettendo le mani sotto la gonna, e si era fermato quando la persona offesa aveva chiamato il 112. La Corte d'appello, inoltre, nella parte in cui ha determinato la pena, ha apprezzato i fatti di violenza sessuale, qualificando gli stessi come di "minore gravità".
La ricostruzione dei fatti esposta nella sentenza impugnata risulta immune da vizi. Il racconto delle aggressioni sessuali, infatti, non presenta inverosimiglianze tali da inficiare la correttezza del giudizio di attendibilità compiuto dai giudici di merito, in particolare per il possibile intervento di altre persone o per la mancata denuncia alle forze dell'ordine. Invero, l'episodio avvenuto nella notte tra il 3 ed il 4 luglio 2019 non appare caratterizzato da manifestazioni eclatanti, e non ha avuto sviluppi ulteriori per desistenza dello stesso imputato. L'episodio avvenuto nella notte del 24 luglio 2019 si è verificato all'interno dell'abitazione della vittima ed è stato interrotto proprio da una telefonata della donna ai Carabinieri. Inoltre, meramente asserito è il rischio di fraintendimenti da parte della persona offesa circa il significato delle condotte dell'imputato.
5. Prive di specificità e diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure prospettate nel quarto motivo, che contestano l'affermazione di responsabilità per i reati di violazione di domicilio, deducendo che la stessa persona offesa ha escluso introduzioni violente o clandestine dell'imputato nella sua abitazione.
Le censure appena indicate, infatti sono meramente assertive, e non si confrontano con quanto espressamente indicato nella sentenza impugnata. Questa, in particolare, con riferimento ai reati di cui all'art. 614 c.p., riporta espressamente le parole della persona offesa, la quale ha detto che, siccome la sua abitazione non era dotata né di citofono, né di spioncino, era costretta a socchiudere la porta per vedere chi bussava, e che l'imputato aveva approdittato di tale circostanza per mettere la mano di traverso, impedire la chiusura dell'infisso ed entrare in casa contro la sua volontà.
6. Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel quinto motivo, che criticano l'affermazione di responsabilità per i reati di tentata violenza privata, deducendo che gli episodi sono stati ricordati solo a seguito di contestazione o comunque non integrano, per quanto emerge dallo stesso racconto della donna, alcuna fattispecie delittuosa.
I fatti di tentata violenza privata sono consistiti nel tentativo di bloccare la strada alla persona offesa mentre guidava l'automobile, e poi nello strapparle di mano il telefono cellulare per impedirle di continuare a parlare con l'operatore di polizia del servizio 112, entrambi commessi il 24 luglio 2019. Secondo la Corte d'appello, per quanto concerne il primo episodio, il difetto di ricordo della vittima, evidenziato dalla necessità della contestazione delle dichiarazioni rese in fase di indagine, è giustificabile, perché la vicenda è solo una delle tante analoghe, ed è stato comunque colmato dalla deposizione successiva alla contestazione. Per quanto attiene al secondo episodio, puntualmente riferito dalla persona offesa, i Giudici di secondo grado osservano che il reato è integrato in quanto la condotta dell'odierno ricorrente non ha prodotto il risultato di impedire il colloquio tra la donna e l'operatore di polizia addetto al servizio 112 solo perché detto operatore ha immediatamente ricontattato l'utenza dalla quale proveniva la richiesta di aiuto.
Anche queste conclusioni sono immuni da vizi.
L'affermazione della sussistenza del primo episodio è correttamente fondata su una valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
Occorre premettere che, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01, e Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv 262575-01). Inoltre, altrettanto diffuso è l'insegnamento in forza del quale le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l'art. 500 c.p.p., comma 2, concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell'atto utilizzato per le contestazioni (così tra le tante, Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Caia, Rv. 273455-01, e Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Lubine, Rv. 270091-01). Posti questi principi, non può ritenersi manifestamente illogica la conclusione dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa solo perché un singolo accadimento, nel quadro di una complessa ed articolatissima serie di vicende, è stato ricordato all'esito di contestazione.
L'affermazione della sussistenza del secondo episodio, anch'essa fondata sul racconto della persona offesa, si fonda sulla condivisibile osservazione secondo cui strappare di mano il telefono ad una persona per impedirle di proseguire la sua conversazione con un operatore del servizio 112 significa costringere con violenza altri ad omettere qualche cosa. E, del resto, sono reperibili precedenti di legittimità i quali hanno specificamente affermato che integra la fattispecie di violenza privata la condotta di asportazione del telefono cellulare di mano alla persona offesa al fine di impedire a questa di invocare aiuto in occasione di una violenza sessuale (Sez. 3, n. 29901 del 09/06/2011, K., Rv. 250660-01).
7. Prive di specificità sono le censure esposte nel sesto motivo, che attaccano l'affermazione di responsabilità per il reato di evasione, deducendo la mancata assunzione di prova decisiva, per la revoca dell'esame della teste A.C., disposta per la mancata presentazione della stessa in udienza.
La sentenza impugnata osserva che le dichiarazioni della persona offesa, la quale ha riferito di aver visto l'imputato la sera del 14 agosto fuori della sua abitazione, nonostante fosse agli arresti domiciliari, e di essere stata insultata dallo stesso sulla pubblica via davanti a più persone, hanno trovato un "formidabile riscontro" nei segnali emessi dal c.d. "braccialetto" elettronico sulla persona dell'odierno ricorrente. Segnala infatti che, come dichiarato da personale di polizia giudiziaria, il dispositivo elettronico installato sulla persona dell'imputato, la sera del 14 agosto, fece registrare cinque segnali di allerta, in successione tra loro, ognuno della durata compresa tra i cinque e i sette secondi, tra le ore 22,21 e le ore 22,24.
A fronte di questi elementi di prova, il ricorrente non precisa né perché la prova testimoniale indicata sia da ritenere decisiva, né perché la revoca per decadenza dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale relativa a A.C. debba essere reputata illegittima.
8. Infondate sono le censure formulate nel settimo motivo, che criticano l'affermazione di responsabilità per il reato di lesioni, stante l'assenza di documentazione medica e di conferme dalla polizia giudiziaria.
La sentenza impugnata ha ritenuto provati i fatti di lesioni personali, costituite, nel maggio o giugno 2019, da lividi o graffi al collo ed al viso, e, il 24 luglio 2019, da ematomi di lieve entità ai polsi, sulla base delle dichiarazioni della vittima, giudicate pienamente attendibili.
La conclusione è corretta. Deve infatti ribadirsi il principio già enunciato in giurisprudenza, secondo cui, in tema di valutazione della prova, il reato di lesioni personali può essere ritenuto accertato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilità, anche in mancanza di un referto medico che attesti la "malattia" derivata dalla condotta lesiva, per il principio di libero convincimento del giudice e per l'assenza di una gerarchia tra i diversi mezzi di prova (così Sez. 3, n. 42027 del 18/09/2014, A., Rv. 260986-01, in fattispecie relativa a lesioni costituite da un taglio alle labbra).
9. Manifestamente infondate, infine, sono le censure prospettate nell'ottavo motivo, che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la fissazione di una pena base in misura superiore al minimo edittale, deducendo che il beneficio di cui all'art. 62-bis c.p. non può essere negato solo in ragione dei precedenti penali e che manifestamente illogica è la scelta della misura della pena base.
Invero, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice ha correttamente valorizzato sia i "numerosi precedenti penali", sia l'assenza di elementi positivi per l'imputato. E, sotto questo profilo, anche la seconda argomentazione della Corte d'appello risulta corretta, in ragione di protrazione, intensità e pluralità delle condotte delittuose realizzate dall'odierno ricorrente e giudicate in questo processo.
Per quanto attiene alla determinazione della pena base, la stessa, individuata con riferimento al reato di violenza sessuale attenuata dalla minore gravità del fatto, è stata fissata in due anni e sei mesi di reclusione, quando la misura minima era pari ad un anno e otto mesi di reclusione. Il "differenziale" è stato spiegato richiamando, in particolare, i numerosi precedenti penali e la gravità delle complessive condotte delittuose, non arrestatesi nemmeno a seguito dell'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, ossia elementi di valutazione rilevanti a norma dell'art. 133 c.p.. Ciò posto, deve concludersi che, anche in relazione a questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente congrua ed immune da vizi.
10. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 che - a tu la dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria sull'originale della sentenza, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2021