top of page

Minaccia e lesioni: condanna a 8 mesi di reclusione (Tribunale di Nola - Giudice Monocratico dott. Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Nola, con la quale l'imputato è stato condannato per i reati di minaccia e lesioni personali.


Tribunale Nola, 20/05/2022, (ud. 11/05/2022, dep. 20/05/2022), n.994

Svolgimento del processo

Con decreto di citazione emesso dal P.M. il 30,10.2020, La.Ra. e La.Fr. venivano tratti a giudizio di questo Tribunale per rispondere dei reati in epigrafe trascritti. All'udienza del 28,6.2021, preliminarmente, il Giudice disponeva la rettifica della data di nascita dell'imputato La.Fr.. Dichiarata l'assenza degli imputati, ritualmente citati e non comparsi, veniva poi disposto rinvio per rinnovazione della notifica del decreto di citazione alla persona offesa. All'udienza del 8.11.2021 il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove orali e documentali richieste dalle parti. Su consenso delle parti si acquisivano al fascicolo per il dibattimento le s.i.t. rese dal teste La.Bi. con rinuncia all'esame dello stesso e il Giudice, conseguentemente, ne revocava l'ordinanza ammissiva.

All'udienza del 21.2.2022 su consenso delle parti si acquisiva al fascicolo per il dibattimento, nel contenuto dichiarativo, la querela e le s.i.t. rese dalla persona offesa Al.Ca., con rinuncia all'esame dello stesso.

All'odierna udienza, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, uditi il Pubblico Ministero e la difesa, all'esito della camera di consiglio, veniva data pubblica lettura del dispositivo di sentenza, riservandosi il deposito delle motivazioni nei termini di legge.

Diritto

Motivi della decisione

Ritiene questo Giudice che, sulla base dell'attività istruttoria svolta e dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, vada affermata la responsabilità penale degli imputati in ordine ai reati loro ascritti in rubrica.

Per quanto attiene alla dinamica dei fatti, questa risulta sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa Al.Ca. e dal teste La.Bi. nella fase delle indagini preliminari ed acquisite al fascicolo per il dibattimento ex art. 493, co. 3 c.p.p.

Orbene, secondo quanto riferito in sede di querela dall'Al., in data 30.11.2019, alle ore 02:00 circa, l'odierna imputata, madre della persona offesa, all'interno della propria abitazione, iniziava ad ingiuriarlo e minacciarlo per via del suo orientamento sessuale con le seguenti parole: "Gay, ricchione, vai a fare la vita", "Non te la devi fare con i tuoi amici che ti portano sulla mala strada", "Ricordati che tengo l'accetta e che ti taglio la testa".

La discussione durava circa due ore e, alle ore 04:00, si svegliava l'odierno imputato La.Fr., compagno della La., il quale pure cominciava ad urlare nei confronti dell'Al.: in particolare, Io appellava "ricchione" e "gay", dicendogli che "se la faceva solo con le puttane e con i trans", che "non doveva più farsela con il suo amico La.Bi.", definito "persona pericolosa che porta solo guai" e, in aggiunta, minacciandolo "di mandare un suo nipote per farlo picchiare". Ad un certo punto della discussione, la madre passava a lanciargli contro oggetti e suppellettili che si trovavano in casa, minacciando di infilzarlo con una forbicina per poi colpirlo ripetutamente con un bastone di ferro, raggiungendolo due volte al capo e una volta sulla mano destra. Riferiva, inoltre, che gli odierni imputati indirettamente estendevano le proprie minacce alla persona del La.Bi. e aggiungeva di provare fondato timore per la propria incolumità in ragione dell'abuso di sostanza alcoliche da parte degli stessi.

Alle ore 09:00 circa, dopo aver vagato per Ca., si recava a casa dell'amico La.Bi. e, unitamente allo stesso, si portava presso l'Ospedale di Nola ove veniva sottoposto alle cure e agli accertamenti del caso e venne compiutamente refertato (cfr. referto medico in atti). Quanto al teste La.Bi., questi, in sede di sommarie informazioni (acquisite al fascicolo per il dibattimento ex art. 493, co. 3 c.p.p.), riferiva che una mattina gli si presentava l'Al. con la testa sanguinante e, avuta notizia dallo stesso di quanto accadutogli in casa, lo accompagnava prima in ospedale, poi in caserma affinché sporgesse denuncia.

Così ricostruiti gli elementi emersi dall'istruttoria, con riguardo alle dichiarazioni dell'Al.Ca., va detto che è noto che la deposizione della persona offesa - cui vanno equiparate le dichiarazioni dalla stessa rese anche extra-udienza, se divenute utilizzabili ai fini del decidere, ad esempio in forza del consenso espresso dalie parti - ben può fondare, anche autonomamente, il convincimento del Giudice.

Tuttavia, per orientamento giurisprudenziale ormai sedimentato, per essere posta a fondamento di un giudizio di colpevolezza detta testimonianza deve essere sottoposta ad un attento vaglio critico di attendibilità, sia intrinseca che estrinseca, al fine di escludere che costituisca l'effetto di mire deviatrici e deve essere analizzata, pur senza alcuna preconcetta sfiducia nei confronti del dichiarante, con rigore e spirito critico.

In sostanza alla persona offesa è riconosciuta la capacità di testimoniare a condizione che la sua deposizione, non immune da sospetto per essere la parte portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quelli dell'imputato ~ che sono ovviamente amplificati in caso di costituzione di parte civile - sia ritenuta veridica, dovendosi a tal fine far ricorso all'utilizzazione ed all'analisi di qualsiasi elemento di riscontro o di controllo ricavabile dal processo (Cass. 839/93). E' però anche opportuno precisare che, non configurando il dettato normativo alcuna pregiudiziale di natura ontologica alla utilizzabilità della stessa deposizione quale prova ex se esaustiva per la affermazione della responsabilità penale, eventuali riscontri estrinseci, se acquisiti, non devono necessariamente presentare le connotazioni che si richiedono per la verifica della chiamata in correità (e cioè, in sintesi, la convergenza con altri elementi di natura indiziaria e la portata individualizzante o specifica del dato corroborativo, che nel caso di chiamata deve inerire sia alla persona dell'incolpato, che alle imputazioni che gli sono ascritte).

Tornando al caso che occupa, le dichiarazioni della persona offesa appaiono ampiamente attendibili quanto alla ricostruzione della dinamica dell'accaduto - i cui esiti (trauma contusivo cranico con escoriazioni multiple, guaribile in gg. 3) trovano riscontro nei referti medici acquisiti in atti, a firma dei sanitari dell'Asl Napoli 3 Sud - e quanto al contegno attribuito agli imputati; ciò anzitutto per la linearità e coerenza delle stesse dichiarazioni, che appaiono scevre da intenti calunniatori e da secondi fini, dal momento che le stesse dichiarazioni sono state ampiamente corroborate dalle sommarie informazioni rese da La.Bi. nei giorni immediatamente successivi ai fatti, anch'esse acquisite al fascicolo dibattimentale in forza del consenso espresso dalle parti.

Ciò detto, sussistono evidentemente tutti gli elementi del contestato reato di cui all'art. 582 c.p., essendo stato provato che la La.Ra. ha volontariamente cagionato alla persona offesa, attraverso la sua azione violenta, delle lesioni personali.

Sono, altresì, sussistenti le circostanze aggravanti contestate in fatto, ovvero l'aver commesso il fatto utilizzando un oggetto atto ad offendere, come va qualificato il bastone di ferro lungo 50 cm con la quale l'imputato ha colpito le persone offese (cfr. Cass. pen., Sez. 5, Sentenza n. 8640 del 20/01/2016, "in tema di lesioni personali volontarie, ricorre la circostanza aggravante dell'uso di uno strumento atto ad offendere di cui all'art. 585, comma secondo, n. 2, cod. pen., laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all'offesa") nonché l'aver realizzato la condotta incriminata contro il discendente. Parimenti, è da ritenersi sussistente il reato di minaccia, anch'esso in forma aggravata, perpetrato ai danni di Al.Ca. da entrambi gli imputati.

In punto di diritto, mette conto rilevare che il bene giuridico tutelato dall'art. 612 c.p. va individuato nella libertà psichica o morale, ed in particolare in quell'aspetto di essa che consiste nel sentimento della propria libertà, suscettibile di essere leso in presenza dell'allarme e del timore generato dall'altrui minaccia. La minaccia consiste nella prospettazione di un male futuro ed ingiusto, la cui verificazione dipende dalla volontà del soggetto attivo. Il criterio discretivo rispetto alla violenza è in genere individuato nell'attualità dell'inflizione dei male, che caratterizza la violenza, mentre nella minaccia il male è soltanto prospettato al soggetto passivo. Non può parlarsi di minaccia quando il male non sia presentato come dipendente dalla volontà dell'agente, sussistendo in tal caso un semplice avvertimento; peraltro, la minaccia non è esclusa nell'ipotesi in cui l'agente induca in errore il soggetto passivo, facendogli credere di avere la possibilità di realizzare il pregiudizio prospettato. Il male prospettato è ingiusto quando consiste nella lesione o nella messa in pericolo di un bene giuridico (di qualsiasi natura, anche patrimoniale) appartenente al soggetto passivo o ad una persona a lui legata da particolari vincoli di affetto o di solidarietà. Deve peraltro trattarsi di un interesse giuridicamente rilevante e non di un mero interesse di fatto sprovvisto di tutela giuridica. Sussiste infine una minaccia penalmente rilevante quando il pregiudizio prospettato, isolatamente considerato, costituisce oggetto di una facoltà legittima, ma di tale facoltà l'agente minacci di far uso per un fine diverso da quello al cui soddisfacimento essa è tipicamente preordinata: principio, questo, espresso con la formula secondo la quale l'ingiustizia dello scopo avuto di mira dall'agente rende ingiusto anche il mezzo - altrimenti legittimo - adoperato per esercitare la costrizione. Si richiede poi che il danno ingiusto sia prospettato ad "altri": ossia ad un soggetto diverso dall'agente. La minaccia può essere espressa in qualsiasi forma: orale o scritta, esplicita o implicita, reale o simbolica, etc. In particolare, si ravvisa la minaccia anche in frasi oblique od obiettivamente equivoche, quando dal contesto risulti evidente il loro reale significato. La minaccia può altresì risultare implicitamente da un mero atteggiamento dell'agente, il cui significato sia reso evidente dalle circostanze (Cass. 7.2.2008, M., DeJure). La minaccia, infine, deve essere idonea a produrre un effetto di coazione. Trattandosi di un giudizio ex ante, l'idoneità non è esclusa quando, in concreto, la minaccia non abbia sortito l'effetto coattivo avuto di mira dall'agente. L'idoneità va altresì accertata tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto conoscibili all'agente, ivi compresa la particolare impressionabilità del soggetto passivo. Quest'ultimo deve essere determinato, o quanto meno determinabile.

Quanto all'elemento soggettivo, il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di minacciare ad altri un danno ingiusto. Il dolo deve abbracciare anche la percezione della minaccia da parte del soggetto passivo, che è elemento costitutivo del fatto, e deve estendersi alla consapevolezza dell'ingiustizia del danno, che è requisito espresso di fattispecie.

Nel caso di specie, risulta provato il delitto di cui all'art. 612 c.p., in quanto è stato accertato che gli imputati minacciavano la p.o. Al.Ca. affermando, quanto a La.Ra., che gli avrebbe tagliato la testa con un'ascia e, quanto a La.Fr., che avrebbe mandato suo nipote in strada per farlo picchiare, in tal modo generando nella stessa un fondato timore per la propria incolumità e per una serena permanenza nella casa familiare. Tenuto conto del contesto in cui si è inserita la minaccia, di tutte le circostanze del caso concreto, delle modalità della condotta e della tipologia della frase rivolta dall'imputato alla persona offesa, gli imputati vanno dichiarati penalmente responsabili per il reato de quo.

E altresì da ritenersi sussistente la circostanza aggravante di cui al co. 2 dell'art. 612 c.p. in fatto contestata, dovendo riconoscersi il carattere della gravità alle propalazioni degli odierni imputati in ragione dell'entità del male minacciato alla persona offesa, del contesto già particolarmente aggressivo in cui le stesse si collocavano, nonché dell'abuso di sostanze alcoliche da parte degli stessi, noto all'Al.Ca. e determinante in quanto tale un'oggettiva ingravescenza della condotta posta in essere.

In ordine al trattamento sanzionatone, va in primo luogo rilevato che può essere riconosciuta la continuazione tra i reati ascritti all'imputata La.Ra., in quanto commessi in relazione al medesimo contesto spazio-temporale ed al medesimo fine criminoso.

Si ritengono, altresì, concedibili alla stessa le circostanze attenuanti generiche, in considerazione del positivo comportamento processuale. Tali circostanze possono essere concesse in misura equivalente rispetto alle aggravanti di cui agli artt. 577, n. 1) e 585, co. 2, n. 2) per il reato di cui all'art. 582 c.p. e all'aggravante di cui al co. 2 dell'art. 612 per il reato di minaccia ivi previsto. Pertanto, tenuto conto di tutti i criteri valutativi di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo irrogare a La.Ra. la pena finale di mesi otto di reclusione, pena così determinata:

- pena base, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti, ritenuto più grave il reato di cui all'art. 582 c.p.: mesi 6 di reclusione;

- aumentata ex art. 81 cpv c.p. per il reato di cui all'art. 612 c.p. alla pena inflitta. Quanto al trattamento sanzionatorio del La.Fr., anche allo stesso si ritengono concedibili le circostanze attenuanti generiche, in considerazione del positivo comportamento processuale: le stesse possono essere concesse in misura equivalente rispetto all'aggravante di cui al co. 2 dell'art. 612 c.p.

Tenuto conto, allora, di tutti i criteri valutativi di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo irrogare a La.Fr. la pena finale di Euro 500,00 di multa (ritenendosi applicabile la cornice edittale prevista dal primo comma dell'art. 612 c.p.).

Agli imputati non può essere riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, ostandovi i precedenti penali a loro carico.

Consegue per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali.

Si ritiene congruo indicare un termine di trenta giorni per il deposito della motivazione.


P.Q.M.

Letti gli artt. 533-535 c.p.p. dichiara La.Ra. e La.Fr. colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti, condanna La.Ra. alla pena di mesi otto di reclusione e La.Fr. alla pena di Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Motivi in giorni trenta.

Così deciso in Nola l'11 maggio 2022.

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2022.

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg
bottom of page