La massima
Si configura la truffa cd. a consumazione prolungata, e non una pluralità di reati, nella condotta del sanitario dipendente di una struttura ospedaliera pubblica che, omettendo di comunicare l'esercizio di attività professionale extra moenia, si garantisca la percezione periodica dell'indennità collegata all'esclusività del rapporto con l'amministrazione di appartenenza, in quanto la percezione dei singoli emolumenti è riconducibile ad un un originario ed unico comportamento fraudolento, consistente nell'omissione della richiesta di passaggio al rapporto non esclusivo, prevista dalla normativa di settore, che determinerebbe la cessazione della situazione di illegittimità e l'interruzione delle indebite riscossioni. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dall'epoca di interruzione delle indebite riscossioni e che erroneamente fossero stati applicati dal giudice territoriale aumenti di pena ex art. 81, comma 2, c.p. - Cassazione penale, sez. II, 07/11/2018, n. 4150).
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La sentenza integrale
Cassazione penale, sez. II, 07/11/2018, n. 4150
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Palermo in composizione collegiale del 23 novembre 2015 i prevenuti L.M.T., V.M.R., G.d.C.G., S.G., I.G., professionisti operanti nel settore medico, quali sanitari ovvero come amministratori di case di cura private - venivano dichiarati colpevoli di alcune delle plurime imputazioni che erano state loro originariamente ascritte in rubrica a seguito di una vasta indagine che aveva riguardato, innanzitutto, il tema dei rimborsi sanitari e l'eventualità di illecite duplicazioni del pagamento delle stesse prestazioni in favore di strutture pubbliche e private e che aveva portato alla luce anche ulteriori illeciti.
In esito all'ampio ed articolato dibattimento di primo grado le imputate V. e L. venivano riconosciute responsabili:
a) dell'ipotesi di truffa continuata ed aggravata ex artt. 110,81 cpv. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, ascritta al capo 2L), perchè, in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, V.M.R. nella qualità di medico oncologo in servizio presso la U.O. di Oncologia Medica dell'(OMISSIS), con artifici e raggiri consistiti nell'aver taciuto maliziosamente di svolgere attività libero professionale presso la (OMISSIS) e presso lo studio medico (OMISSIS) sito in (OMISSIS), induceva in errore l'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Palermo procurandosi un ingiusto profitto, consistito nel percepire mensilmente l'indennità di esclusività di cui all'art. 5 del C.CN.L. 1998 - 2001 e succ. modif., pari ad Euro 187,77 mensili lordi, con un correlativo danno economico per l'Azienda Ospedaliera. Con la condotta istigatrice di L.M.T. che, pur essendo a conoscenza del rapporto di esclusività tra V.M.R. e la struttura ospedaliera, pagava a quest'ultima la retribuzione richiesta per l'esercizio dell'attività libero professionale da lei svolta presso la (OMISSIS) s.r.l., truffa consumata in (OMISSIS);
b) del delitto di truffa concorsuale continuata ed aggravata anche dalla violazione di pubblici doveri di cui al capo 3L) (artt. 110,81 cpv., 640, comma 2, n. 1 e art. 61 c.p., n. 9) con riguardo al "dirottamento" di pazienti già ricoverati presso il Policlinico (OMISSIS) verso la (OMISSIS). In (OMISSIS);
c) del delitto di cui al capo 4L), originariamente concernente una fattispecie concorsuale continuata di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, ai sensi degli artt. 110,81 cpv. e artt. 319 - 321 c.p., riqualificata dal primo giudice ai sensi dell'art. 323 c.p., essendosi ravvisata nei fatti contestati la condotta di abuso d'ufficio, senza alcun profilo corruttivo.
Gli imputati I.G.A., S.G. e G.d.C.G. venivano riconosciuti colpevoli:
d) della truffa concorsuale continuata ed aggravata ascritta al capo 2N), consumata in (OMISSIS) e consistita, secondo l'ipotesi accusatoria fatta propria in sentenza, da parte del dottor I., medico specialista in terapia degli ictus cerebrali e patologie affini, nel prestare servizio retribuito presso la (OMISSIS) s.r.l., con artifici e raggiri consistiti nel sottacere ciò ai vertici della struttura pubblica di (OMISSIS) cui era legato da un rapporto di esclusiva, in forza del quale egli percepiva l'indennità relativa pari a oltre mille Euro mensili, e da parte degli imputati G.d.C. e S., rispettivamente titolare e direttore sanitario della stessa Casa di cura, nell'avere "istigato" il predetto I. al mantenimento di detta situazione antigiuridica, ben conoscendo l'ostativo rapporto di esclusiva del medesimo e ciononostante retribuendolo per l'attività espletata.
e) del delitto di cui al capo 4N), originariamente contestato quale corruzione continuata per atti contrari ai doveri di ufficio, ai sensi degli artt. 110,81 cpv. e 319 - 321 c.p., commessa in (OMISSIS) e riqualificata dai primi giudici quale abuso d'ufficio.
Per l'effetto i ricorrenti venivano condannati alle pene ritenute di giustizia nonchè al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, in particolare dell'Assessorato Regionale alla Sanità (costituito nei confronti di tutti gli imputati), del Policlinico Universitario (OMISSIS) (costituito nei confronti di V. e L.) e dell'Azienda Ospedaliera "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (costituita nei confronti di I., S., G.d.C.). Il Tribunale disponeva, altresì, la confisca per equivalente dei beni nella disponibilità degli imputati per gli importi costituenti profitto dei reati in relazione ai quali era intervenuta affermazione di responsabilità.
2. La sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione di primo grado,
- assolveva V.M.R. e L.M.T. dai delitti loro ascritti in concorso sub 3L) e 4L) della rubrica, come ritenuti in sentenza, perchè il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili limitatamente ai suddetti capi e rideterminando la pena per la residua fattispecie di cui al capo 2L), per l'imputata V.M.R. in anno uno, mesi nove di reclusione ed Euro 700,00 di multa e per l'imputata L.M.T. in anno uno, mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, revocando per entrambe le pene accessorie e la misura di sicurezza della confisca per equivalente, limitatamente alla somma individuata per il delitto di cui al capo 3L) della rubrica;
- assolveva I.G.A., S.G. e G.d.C.G. dal delitto loro ascritto in concorso sub 4N), come ritenuto in sentenza, perchè il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili limitatamente al suddetto capo e riducendo la pena per il residuo reato loro ascritto al capo 2N) della rubrica, per I.G.A. ad anno uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 700,00 di multa; per S.G. e G.d.C.G. ad anno uno, mesi due di reclusione ed Euro 500,00 di multa ciascuno, revocando le pene accessorie e riconoscendo a tutti gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati, deducendo i motivi di seguito enunziati nei limiti strettamente necessari per la motivazione a norma dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
V.M.R. con l'Avv. Antonino Reina
2.1 la violazione ed errata applicazione degli artt. 266,267,268 e 271 c.p.p.. La difesa lamenta che la Corte territoriale, investita dell'impugnazione dell'ordinanza resa dal Tribunale in data 25/2/2015, che aveva rigettato le eccezioni riguardanti l'inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nel procedimento, ha disatteso il gravame in aperta violazione dei principi giuridici consolidati in materia. In particolare:
a) a fronte dell'eccepita omessa motivazione del decreto n. 1523/09 in relazione al requisito di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, (trattandosi di intercettazioni in luoghi di privata dimora) la sentenza impugnata si è limitata ad una citazione giurisprudenziale, eludendo il confronto con l'atto censurato che ha trascurato di motivare sullo specifico requisito relativo all'esistenza di fondati motivi per ritenere che nel luogo di privata dimora si stesse svolgendo attività criminosa;
b) con riguardo al dedotto uso arbitrario delle intercettazioni per una fattispecie di reato inesistente quale quella ex art. 479 c.p., atta solo a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova onde accertare reati diversi, quali la truffa aggravata, che non avrebbero consentito il ricorso a detto strumento. La Corte territoriale ha rigettato l'eccezione sostenendo la ravvisabilità nel decreto 1523/09 di elementi di gravità indiziaria in relazione all'ipotesi di falso in atto pubblico con conseguente utilizzabilità delle captazioni eseguite anche in relazione agli altri reati emersi nell'ambito del medesimo procedimento, valutazione che la difesa contesta, evidenziando che sia la nota della P.g. che i decreti del P.m. contengono il solo riferimento normativo alla fattispecie di cui all'art. 479 c.p. in assenza di motivazione sul quadro di gravità indiziaria, intesa come esistenza altamente probabile di un fatto storico integrante l'ipotesi di reato;
c) la Corte territoriale ha, inoltre, omesso di motivare in ordine alle questioni devolute con l'atto d'appello e relative ai decreti nn. 1931, 2021, 2122 del 2009, riguardanti le utenze telefoniche in uso all'imputata e privi di motivazione in ordine ai gravi indizi di reato che avrebbero consentito il ricorso alla captazione, tale non potendo ritenersi il mero riferimento di pugno di P.m. all'art. 317 c.p. a margine della nota di P.g. in data 10/8/2009;
2.2 la violazione ed errata applicazione dell'art. 640 c.p. All'imputata si addebita di aver violato l'obbligo di esclusività che la legava al Policlinico di (OMISSIS), percependo la relativa indennità mensile e sottacendo l'attività privata svolta presso la clinica L.. La difesa dubita che il silenzio e la reticenza possano integrare il requisito dell'artifizio e raggiro, difettando in tal caso la modifica intenzionale dello stato dei fatti per effetto di una positiva azione ingannatoria, risolvendosi l'omissione dell'obbligo informativo in un inadempimento contrattuale che non assurge a rilievo penale ex art. 640 c.p.;
2.3 la violazione ed errata applicazione degli artt. 81,157 e 158 c.p., degli artt. 640 e 133c.p. nonchè degli artt. 516, 521 e 522 c.p.p. La difesa lamenta che la Corte d'Appello ha omesso la declaratoria di prescrizione del reato di truffa aggravata ascritto al capo 2L) sebbene maturata prima del 29/9/2017, argomentando che i termini massimi sarebbero spirati solo il 10 ottobre successivo per effetto di una sospensione pari a mesi cinque e gg dieci senza tener conto che, secondo la contestazione, il reato continuato sarebbe stato consumato dal (OMISSIS) e, per consolidato principio di diritto applicativo del favor rei, il momento della cessazione della consumazione in presenza di un generico riferimento al solo mese deve essere individuato nel primo giorno del mese stesso. Inoltre, anche a voler ritenere che sulla base delle intercettazioni risulti provata la presenza dell'imputata presso la clinica (OMISSIS) fino al (OMISSIS), la prescrizione del reato, tenuto conto della sospensione, sarebbe comunque maturata prima della sentenza d'appello. La fissazione da parte della Corte distrettuale della decorrenza del termine di prescrizione al 30 ottobre 2009 integra una nullità ex art. 522 c.p.p. per assoluto difetto di contestazione, non essendosi proceduto alla modifica della stessa a norma dell'art. 516 c.p.p. al fine di ricomprendervi anche la percezione dell'indennità mensile relativa all'ottobre 2009.
La difesa rileva ulteriormente che la Corte d'Appello è incorsa in un errore di diritto nella determinazione della pena, nonostante l'espressa devoluzione del relativo profilo in sede di gravame, avendo trascurato di considerare che per il delitto di truffa continuata la decorrenza del termine di prescrizione coincide con la commissione di ciascun reato, nella specie venuto a consumazione mensilmente con la percezione dell'indennità, sicchè alla data della sentenza impugnata erano sicuramente prescritti tutti i reati fino a settembre 2009 e la pena andava eventualmente commisurata al solo episodio di (OMISSIS);
2.4 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche, con motivazione cumulativa e senza alcuna individualizzazione della specifica posizione soggettiva e processuale, che avrebbe imposto la valorizzazione della condotta processuale della prevenuta e una rimeditazione della gravità del reato.
I.G.A. con l'Avv. Antonino Reina.
3. Il primo motivo è di identico tenore a quello formulato nell'interesse della ricorrente V. ed ha ad oggetto la denunzia della violazione degli artt. 266,267,268 e 271 c.p.p. in materia di intercettazioni;
3.1 la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di truffa ascritto al capo 2N). Allo I. di addebita di aver svolto attività libero professionale presso la (OMISSIS) nonostante il rapporto di esclusività alle dipendenze dell'Azienda Ospedaliera (OMISSIS).
La difesa denunzia l'illogicità motivazionale della sentenza impugnata per aver confermato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente nonostante l'esistenza di un documento del 25 settembre 2009, protocollato in pari data dall'Azienda Ospedaliera (OMISSIS), con il quale lo I. comunicava di intrattenere contatti con la Direzione Sanitaria ed Amministrativa della Clinica (OMISSIS) allo scopo di istituire un reparto per la cura in emergenza di pazienti affetti da ictus ischemico e/o embolico, riservandosi di comunicare tempestivamente l'acquisizione del ruolo di Primario presso detta struttura, incompatibile con quello rivestito presso l'Azienda Ospedaliera. Con ulteriore nota protocollata il 4 Gennaio 2010 lo I. comunicava l'interruzione della "frequentazione" della clinica (OMISSIS). Siffatti documenti che secondo la difesa dimostrano l'insussistenza della truffa contestata sono stati disattesi dalla Corte territoriale con argomenti illogici che fanno leva sulla tardiva produzione degli stessi e sulla finalizzazione della frequentazione della clinica alla cura di pazienti ivi avviati dalla struttura pubblica di appartenenza, argomenti che collidono con la contestazione, attestata sull'omissione informativa da parte del ricorrente nei confronti dell'azienda ospedaliera. Inoltre, la difesa del ricorrente revoca in dubbio che il mero silenzio o la reticenza addebitati al prevenuto possano integrare gli artifizi e raggiri integrativi della condotta ex art. 640 c.p.;
3.2 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla scorta di un apprezzamento apodittico e cumulativo, senza alcuna individuazione della specifica posizione soggettiva che avrebbe dovuto condurre alla valorizzazione del comportamento processuale del prevenuto.
S.G. con l'Avv. Fabrizio Lanzarone:
4. La violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni ambientali disposte con decreto n. 1523/09 per il reato di truffa di cui al capo 2N) nella stanza in uso al Direttore Sanitario della (OMISSIS).
La difesa lamenta che la Corte territoriale ha disatteso i diversi profili di inutilizzabilità dedotti in sede di gravame, ritenendo che i decreti autorizzativi fossero congruamente motivati anche con riguardo all'ipotesi di falso ideologico in atto pubblico, unico titolo abilitante alla captazione, per effetto del richiamo operato dal Gip alle varie annotazioni di Polizia Giudiziaria all'origine del procedimento iscritto a carico di ignoti nel 2007 proprio per detto addebito in relazione ad ipotesi di falso documentale finalizzate al conseguimento di indebiti rimborsi per prestazioni sanitarie. I giudici d'appello non hanno, tuttavia, considerato che tutte le investigazioni successive al 7/1/2008 (data coincidente con la scadenza del termine prorogato delle indagini a carico di ignoti) devono ritenersi inutilizzabili, ivi compresa la nota dei Cc del 3/7/2008 richiamata nell'informativa dei Nas Palermo dell'11/6/2009 e posta a base della richiesta del P.m. e del decreto del Gip di autorizzazione alle intercettazioni. Inoltre, il mero richiamo operato dal P.m. e dal Gip alle note informative della P.g. evidenzia l'inesistenza di reale motivazione, ovvero della specifica considerazione degli elementi ivi rappresentati che fondavano le ipotesi di reato di falso e truffa sicchè la reiezione della Corte d'Appello (e prima ancora del Tribunale) delle eccezioni difensive si risolve in una motivazione postuma con la quale i giudici di merito esplicitano quanto non era stato evidenziato nel provvedimento autorizzativo.
La difesa contesta, peraltro, che le informative di Pg, e in particolare la nota del 3/7/2008, avessero contenuti pregnanti in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reato e all'indispensabilità delle intercettazioni in quanto riferivano della necessità di acquisire riscontri e di far luce su eventuali ulteriori condotte criminose " latenti" sicchè - alla luce del tenore del decreto autorizzativo - deve ritenersi che non sussistessero le condizioni per disporre le intercettazioni ambientali, stante la prospettazione da parte degli inquirenti di mere ipotesi di lavoro prive di plausibilità, come dimostrato dall'esito assolutorio intervenuto in relazione al reato di falso oggetto di contestazione suppletiva che ha evidenziato come la base dell'addebito risiedesse in un'arbitraria interpretazione delle norme che disciplinano la materia. Quanto all'utilizzabilità delle intercettazioni disposte in relazione ad un titolo di reato legittimante anche riguardo ad ulteriori ipotesi di reato emerse nell'ambito della stessa attività intercettiva, osserva la difesa che deve trovare applicazione una nozione sostanziale di "diverso procedimento", qualificata dall'insussistenza tra i due fatti-reato di un nesso ex art. 12 c.p.p. o di tipo investigativo, di talchè nel caso in esame, poichè tra i fatti di reato di falso e truffa oggetto di contestazione ai capi N e 1N (per i quali è intervenuta assoluzione) e quello di truffa ascritto sub 2N, detto nesso non è ravvisabile, trattandosi di fatti storicamente diversi, l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni effettuate in relazione ai primi poteva essere estesa al secondo solo in presenza dei requisiti di cui all'art. 270 c.p., nella specie non ravvisabili;
4.1 la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'art. 640, comma 2, n. 1, artt. 40 e 110 c.p.; artt. 125,516,518,520,521 e 522 c.p.p.; artt. 3,24,111 e 117 Cost. nonchè agli artt. 6 e 7 della Convenzione EDU, così come interpretati dalla Corte Europea, e all'art. 6 della Direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea in data 22 Maggio 2012 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali.
Osserva la difesa che al capo 2N) si addebita allo S. il concorso morale nel delitto di truffa aggravata ascritto allo I. in virtù di un'asserita condotta istigatrice che la Corte d'Appello ha diversamente qualificato come condotta agevolatrice, escludendo la violazione del principio di correlazione sul presupposto che si tratti di contributi fungibili. In particolare, secondo la sentenza impugnata il ricorrente avrebbe consentito allo I. di prestare la propria attività presso la clinica pur a conoscenza del vincolo di esclusiva con la struttura ospedaliera; avrebbe discusso del pagamento in nero delle sue prestazioni, avrebbe omesso la verifica del suo titolo e dello status giuridico, profili che, tuttavia, non risultano aver rivestito efficienza causale rispetto alla consumazione del delitto ove si ponga mente alla circostanza che pacificamente lo I. prestava la propria attività medica anche presso altre strutture quali la (OMISSIS) srl, l'(OMISSIS) e l'(OMISSIS) sicchè la violazione del regime di esclusività sarebbe perdurato anche a fronte di un diverso comportamento dell'imputato S.. Pertanto, anche alla luce delle considerazioni svolte dalla sentenza impugnata in relazione all'insussistenza della fattispecie d'abuso e all'inconsistenza probatoria del riferimento a pagamenti in nero, in assenza di iniziative atte a facilitare la condotta dell'autore materiale, si sarebbe dovuta escludere la configurabilità del concorso ex art. 110 c.p.. Infatti, rappresenta la difesa che il criterio di imputazione causale dell'evento cagionato dalla condotta concorsuale, che costituisce la fonte ascrittiva di responsabilità del singolo concorrente, corrisponde al modello condizionalistico che avrebbe imposto ai giudici di merito la verifica, nella specie non effettuata, che la condotta dell'odierno ricorrente avesse costituito condicio sine qua non del reato di truffa realizzato dallo I. e non espressione di mera connivenza non censurabile sul piano penalistico.
Sotto altro profilo, la difesa del ricorrente lamenta che solo all'esito del giudizio d'appello e con il deposito della motivazione si è avuta contezza di decisivi profili di novità nella ricostruzione del sostrato del giudizio di responsabilità dello S., profili ravvisabili sia nella configurazione del contributo concorsuale sotto forma dell'agevolazione piuttosto che dell'istigazione che nei riferimenti al pagamento in nero delle prestazioni extra moenia dello I. e alla presunta culpa in vigilando del prevenuto. Siffatti elementi, secondo il ricorrente, hanno cambiato il thema probandum, risultando estranei alla formale contestazione, e hanno determinato la violazione dei diritti di difesa dell'imputato in relazione all'esercizio del diritto alla prova, alle garanzie del contraddittorio, all'accesso ai riti alternativi, all'integrità dei gradi di giudizio, diritti che trovano presidio a livello costituzionale e nella Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, trattandosi di fonti che riconoscono che l'imputato deve essere informato in modo dettagliato dell'accusa rivoltagli e messo in condizione di discutere in contraddittorio su ogni aspetto della stessa, ivi compresa la qualificazione giuridica data ai fatti. Il dovere di informazione specifica e puntuale in ordine ai fatti addebitati è tanto più pregnante quando, come nel caso di specie, ci si trovi a fronte di un istituto quale la partecipazione criminosa caratterizzato da atipicità. Il richiamato sistema di garanzie circa il diritto all'informazione sulla natura e i motivi dell'accusa e i correlati diritti di difesa è stato recepito anche dalle fonti dell'Unione Europea che con la direttiva del Parlamento e del Consiglio dell'Unione Europea 2012/13/UE, all'art. 6, obbliga gli Stati membri a garantire che le persone imputate siano tempestivamente informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite, ove ciò sia necessario per salvare l'equità del procedimento. Nè secondo la difesa il vulnus alle prerogative difensive può ritenersi superato dalla possibilità di impugnazione in cassazione in considerazione della natura del giudizio di legittimità che garantisce un contraddittorio argomentativo ma non probatorio mentre nella specie il ripristino del contraddittorio sostanziale sui profili d'accusa valorizzati in sentenza passa attraverso l'esame di testi in grado di riferire a confutazione sulle circostanze contestate;
4.2 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta ricorrenza del dolo partecipativo in capo al ricorrente.
La difesa, partendo dal rilievo che il ricorrente fosse a conoscenza del rapporto che legava lo I. all'Ospedale (OMISSIS), lamenta l'impropria sovrapposizione dei concetti di incompatibilità ed esclusività in quanto - alla luce della normativa vigente - la consapevolezza dell'incompatibilità del sanitario ai sensi della L. n. 412 del 1991, art. 7 non implica automaticamente anche la consapevolezza della sua peculiare opzione per il rapporto di lavoro esclusivo, mai comunicata agli interlocutori ai quali, invece, come emerge dalla intercettazioni, l'imputato dipinse una situazione di estrema libertà di movimento. La Corte territoriale non ha fornito la dimostrazione che il ricorrente abbia agito con la consapevolezza che la condotta tenuta contribuiva alla specifico reato descritto al capo 2N) per effetto della violazione del regime di esclusività;
4.3 la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all'omessa declaratoria di prescrizione del reato relativo al mese di (OMISSIS), attesa la natura di contratto di durata del rapporto di lavoro intrattenuto dallo I. e della percezione mensile dell'indennità di esclusiva.
L.M.T. con gli Avv.ti Giovanni Rizzuti e Gioacchino Sbacchi:
5. La violazione degli artt. 266,267,268 e 271 c.p.p. e correlata mancanza di motivazione per avere la Corte d'Appello ritenuto infondate le eccezioni difensive con le quali si era evocata l'inutilizzabilità del contenuto delle intercettazioni ambientali disposte con i decreti autorizzativi nn. 1522 e 1523/09 e delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche disposte con i decreti nn. 1819, 1931, 2021 e 2122 del 2009. La difesa denunzia la mera apparenza della motivazione con riguardo alla reiezione delle reiterate eccezioni di inutilizzabilità degli esiti dell'attività intercettiva e, in particolare:
a) con riferimento alle captazioni autorizzate nelle stanze in uso ai dirigenti responsabili delle case di cura interessate per difetto del requisito circa il fondato sospetto che ivi si stesse svolgendo attività criminosa, stante l'inconferenza del richiamo alle annotazioni dei CC poste a base della richiesta, non rinvenendosi nella nota del Nas di Palermo 11/6/2009 alcun elemento che dia conto della ricorrenza di siffatto presupposto ed avendo il Gip richiamato esclusivamente e tautologicamente la sussistenza di gravi indizi di reato e l'assoluta indispensabilità delle intercettazioni per il prosieguo delle indagini. In ogni caso segnala la difesa che la nota di P.g. risultava inutilizzabile, in quanto condensava atti di indagini compiuti a termini investigativi scaduti, posto che l'iscrizione nel registro notizie di reato della L. avvenne in data (OMISSIS);
b) quanto all'ipotizzata sussistenza del delitto di falso ideologico, unica fattispecie in grado di giustificare per i limiti di pena il mezzo di ricerca della prova. La difesa opina che la Corte territoriale ha travisato le argomentazioni difensive, le quali assumevano l'insussistenza ab origine di gravi indizi in ordine a siffatto reato. La motivazione reiettiva è censurabile in quanto fondata su richiami a valutazioni della P.G. di carattere congetturale in assenza di ogni sviluppo argomentativo.
Le ulteriori doglianze difensive sono state evase dalla Corte territoriale mediante un laconico richiamo a precedenti giurisprudenziali senza alcuno specifico esame dei numerosi rilievi logici e giuridici operati dalla difesa che avrebbero dovuto essere oggetto di puntuale analisi al fine della reiezione. In particolare, risultano prive di sostrato argomentativo ai fini della reiezione i rilievi:
c1) circa l'illegittimità del rinvio per relationem contenuto nel decreto 1523/09 alla nota di P.g., non risultando che il giudice avesse compiuto una valutazione critica degli elementi investigativi disponibili e delle richieste del P.m., tenuto conto che la nota della PG 11/6/09 è priva di contenuto pregnante anche in relazione alla sussistenza di gravi indizi di reato e all'indispensabilità delle intercettazioni;
c2) sulla inutilizzabilità degli atti di indagine successivi al gennaio 2008 (data di scadenza del termine di indagine prorogato del procedimento originariamente iscritto contro ignoti), ivi compresa la nota che è stata posta alla base della richiesta del P.m. e del decreto autorizzativo del Gip;
c3) sulla motivazione inadeguata del decreto del P.m. che autorizzava l'utilizzazione di apparecchiature esterne alla Procura;
c4) sulla motivazione dei decreti di proroga;
c5) sulla dedotta nullità del decreto di convalida del Gip n. 1819/09 (e di quello di proroga del 24/8/09) contenente il riferimento alla sola necessarietà e non all'assoluta indispensabilità dell'attività di intercettazione;
c6) sulla questione sollevata in relazione al decreto 1819/09, in cui l'esecuzione dell'attività captativa mediante impianti diversi da quelli della Procura è sostenuta da mere ragioni di opportunità ed economicità e in relazione alla quale dai verbali di inizio e fine delle operazioni risulta che in remoto è avvenuto non solo l'ascolto ma anche lo scarico dei dati contenuti nell'apparecchio di registrazione su un supporto magnetico;
c7) sull'inutilizzabilità delle conversazioni intercettate in forza dei decreti 1931, 2021, 2122/09 ed altri successivi;
5.1 la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione agli artt. 640 c.p., comma 2, n. 1, artt. 40,110 c.p., artt. 125,516,518,520,521 e 522 c.p.p., artt. 3,24,111 e 117 Cost.; art. 6 e 7 Convenzione EDU così come interpretati dalla Corte Europea nonchè all'art. 6 della Direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'unione Europea in data 22 maggio 2012 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali. Il motivo ha sviluppo e contenuti in gran parte sovrapponibili a quelli esposti nel motivo sub 4.1 nell'interesse di S.G..
La difesa del ricorrente espone di aver mosso censura alla sentenza di primo grado sotto il profilo del difetto di correlazione tra fatto contestato e ritenuto con riguardo al concorso dell'imputata nel delitto di truffa materialmente ascritto alla V., contestato alla stregua dell'istigazione e apprezzato come rafforzamento dell'altrui proposito criminoso.
La Corte territoriale ha disatteso la doglianza opinando circa la fungibilità delle condotte atte a sostanziare il concorso morale ed escludendo un'immutazione rilevante ex art. 521 c.p.p. Inoltre, la sentenza impugnata ha trascurato di valutare ai fini del giudizio sull'idoneità causale della condotta della prevenuta, consistita nell'aver accolto la V. presso la struttura, che la stessa aveva iniziato a lavorare per la (OMISSIS) fin dal 1998, in epoca antecedente l'assunzione presso l'Azienda Ospedaliera come ricercatrice di oncologia medica, e nel periodo d'interesse prestava la propria attività professionale al di fuori del Policlinico sia in uno studio di (OMISSIS) che presso lo studio (OMISSIS), attese le risultanze delle intercettazioni telefoniche. Secondo la difesa, la pretesa consapevolezza della L. dell'abusività del rapporto di lavoro instaurato con la V. risulta insufficiente ai fini della configurabilità della partecipazione criminosa, stante la necessità di un contributo causale in termini di facilitazione della condotta delittuosa che non è dato ravvisare nè nel dato dell'accoglienza presso la Casa di Cura nè nella retribuzione che le sarebbe stata corrisposta in nero per l'attività svolta. Alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità circa lo statuto della causalità, i giudici di merito avrebbero dovuto dimostrare che la condotta della L. aveva costituito una conditio sine qua non del delitto di truffa ascritto alla V., verifica non effettuata nella specie e che non poteva che condurre ad esiti liberatori sulla base di un giudizio contraffattuale capace di dimostrare che, anche in assenza della condotta della prevenuta, il delitto di truffa sarebbe stato egualmente consumato in considerazione delle attività libero professionali comunque svolte dal sanitario presso altre strutture. Per altro verso, la rilevanza della condotta della ricorrente deve essere esclusa in quanto palesemente ininfluente sul piano psichico della V., già pienamente determinatasi ad operare extra moenia. Inoltre,la difesa della ricorrente rileva che solo in esito alla decisione di primo grado l'imputata ha appreso del mutamento della natura della condotta concorsuale addebitatale, circostanza destinata ad incidere sul thema probandum con ricadute pregiudizievoli per la L. sia con riguardo all'esercizio del diritto alla prova che all'accesso ai riti alternativi e alla sostanziale perdita di un grado di giudizio, costituenti violazioni sia del dettato costituzionale (art. 111) che delle norme convenzionali in materia di giusto processo che prevedono una dettagliata informativa nei confronti dell'imputato riguardo alla natura e ai motivi dell'accusa e alle sue eventuali modificazioni in funzione del contraddittorio;
5.2 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo partecipativo. Secondo la difesa (che sul punto replica le argomentazioni di cui al motivo 4.2 della difesa S.) i giudici di merito hanno ritenuto il dolo per effetto di un errore consistito nella sovrapposizione e confusione dei concetti di incompatibilità ed esclusività sebbene nella specie la ricorrente non avesse contezza dell'opzione della V. per il rapporto di lavoro esclusivo e della conseguente percezione della relativa indennità. La Corte territoriale ha illogicamente ritenuto che ai fini del dolo rilevasse esclusivamente la consapevolezza della L. che la V. non potesse in nessun caso lavorare in clinica e non che avesse optato per il regime dell'esclusività cui è connessa la percezione dell'indennità, della cui conoscenza da parte della prevenuta non vi è prova alcuna;
5.3 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo all'omessa declaratoria di prescrizione del reato. Osserva la difesa che il reato è contestato come consumato fino all'(OMISSIS) e la presenza della V. presso la (OMISSIS) è attestata non oltre il (OMISSIS) sicchè il reato era estinto, tenuto conto delle sospensioni, già in epoca antecedente la pronunzia della sentenza d'appello e, in ogni caso, attesa la percezione mensile dell'indennità d'esclusiva, risultavano prescritti tutti i singoli reati in continuazione fino al (OMISSIS) con conseguente illegale determinazione della pena irrogata per il reato continuato.
G.d.C.G. con l'Avv. Giovanni Di Benedetto:
6. L'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110 e 640 c.p. nonchè la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli al capo 2N della rubrica.
La difesa dell'imputato, dopo aver richiamato le censure svolte nell'atto d'appello in ordine all'illogicità dell'addebito mosso al ricorrente di aver istigato lo I. a tacere all'Azienda Ospedaliera (OMISSIS) lo svolgimento di attività extra moenia, dal momento che il silenzio serbato sulla circostanza era funzionale esclusivamente a consentire allo stesso di percepire l'indennità d'esclusiva, e tenuto conto della pacifica emergenza inerente lo svolgimento di attività libero professionale da parte del medesimo anche presso alcune case di riposo per anziani, censura le argomentazioni reiettive della Corte territoriale, la quale ha ritenuto che il profilo dell'istigazione fosse stato già abbandonato dai primi giudici e ravvisa la condotta concorsuale del prevenuto nell'aver messo a disposizione dello I. la clinica privata, consapevole del rapporto di esclusiva con (OMISSIS), di fatto apprestando gli strumenti per la consumazione del reato e per il suo arricchimento privato. In particolare,secondo la prospettazione difensiva risulta del tutto apodittica l'affermazione che il G. era sicuramente a conoscenza del rapporto di esclusività che legava il sanitario a (OMISSIS), dal momento che le conversazioni telefoniche indicate a supporto di detto convincimento già dal primo giudice e richiamate anche dalla sentenza impugnata, nonostante le specifiche censure svolte al riguardo, concernono asserzioni dello S. e non del prevenuto sicchè le inferenze della Corte territoriale non appaiono giustificate e la motivazione resa risulta del tutto apparente. Inoltre, la sentenza impugnata ha trascurato di considerare altre conversazioni dalle quali emerge che lo I. gestiva in piena autonomia e senza interferenze di sorta i rapporti con i vertici dell'Azienda Ospedaliera d'appartenenza e che consentono di escludere che il ricorrente avesse anche la sola mera conoscenza dei termini del suo rapporto con la struttura pubblica.
Aggiunge la difesa che l'individuazione da parte dei giudici d'appello di una condotta concorsuale diversa dalla istigazione avrebbe imposto la disamina delle osservazioni difensive afferenti i pregressi rapporti dello I. con case di riposo, case famiglia e la gestione di uno studio privato, circostanza che priva di valore l'assunto che il prevenuto avesse fornito al coimputato autore materiale gli strumenti per la consumazione della truffa ascritta giacchè il sanitario violava ampiamente l'esclusiva anche prima di conoscere il G.d.C..
La Corte ha, dunque, disatteso le censure difensive con una motivazione illogica e contraddittoria, valorizzando ai fini del concorso la mera asserita conoscenza del reato posto in essere dallo I. in assenza di un qualsivoglia contributo causale alla sua realizzazione e di un obbligo giuridico di impedire l'evento;
6.1 la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione agli artt. 266 e 271 c.p.p. con riguardo al rigetto delle doglianze difensive relative ai vizi che inficiano i provvedimenti autorizzativi delle attività di intercettazione e l'ordinanza resa dal Tribunale in data 25/2/2013 che aveva disatteso ogni questione difensiva sul punto. La censura ha ad oggetto sia l'assoluto difetto di gravi indizi rispetto al delitto di falso ideologico in atto pubblico, cui è stata ricondotto l'avvio della captazione, sia il difetto sostanziale di motivazione rilevabile nei medesimi provvedimenti. In dettaglio, la difesa ha ricostruito il tenore delle eccezioni mosse sin dalla fase dell'udienza preliminare in ordine all'iscrizione dell'ipotesi di falso in atto pubblico in maniera asseritamente strumentale e in assenza dei presupposti oggettivi nonchè alla mancanza di adeguato scrutinio da parte del Gip circa l'osservanza dei limiti previsti dalla legge e ha evidenziato come i provvedimenti di autorizzazione e di proroga esaurivano la motivazione in formule di stile, in contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha evaso il gravame con motivazione incongrua ed apodittica, invocando la legittimità della motivazione per relationem ma omettendo lo scrutinio circa l'idoneità degli atti richiamati a supportare la ritenuta sussistenza dei gravi indizi in relazione al reato ex art. 479 c.p., l'unico che legittimava il ricorso a detto strumento di ricerca della prova. Infatti, il decreto alla base dell'intera fase captativa n. 1522/09 si limita a far riferimento ad una nota della P.g. senza che emerga un autonomo processo valutativo e a parafrasare il contenuto del disposto normativo in materia, peraltro con un riferimento al delitto d'usura che è segno di estrema superficialità nell'approccio al provvedimento;
6.2 la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. e il correlato vizio della motivazione con riguardo alla condanna del ricorrente per un fatto diverso da quello descritto nel decreto che ha disposto il giudizio. Osserva la difesa che la Corte territoriale,a fronte delle doglianze difensive che stigmatizzavano l'assenza di prova in ordine alla contestata condotta istigatrice del G.d.C., ha disatteso il gravame, ritenendo di ravvisare il fondamento della partecipazione nell'aver fornito allo I. gli strumenti per la consumazione del reato, consentendogli di svolgere la propria attività professionale presso la (OMISSIS) sebbene consapevole del rapporto di esclusiva che legava il sanitario alla struttura ospedaliera presso la quale era strutturato. Siffatta argomentazione sostanzia un'immutazione del fatto contestato che avrebbe imposto la trasmissione degli atti al P.m., attesa la radicale trasformazione di elementi essenziali dell'addebito ascritto al prevenuto;
6.2 la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche. La difesa segnala che, nonostante la specifica devoluzione operata con il quarto motivo d'appello, la Corte territoriale - nel disattendere cumulativamente le doglianze sul punto - richiama espressamente le sole posizioni dei coimputati S., I., L., V. senza far menzione della posizione dell'imputato sicchè risulta del tutto mancante la motivazione in relazione al prevenuto. In ogni caso, l'indifferenziato riferimento a fondamento della reiezione alla gravità dei fatti non può ritenersi idoneo ad assolvere all'onere motivazionale.
6.3 In via conclusiva la difesa dell'imputato chiede emettersi declaratoria di prescrizione del delitto ascritto, maturata alla data del 10/12/2017, secondo il computo operato dagli stessi giudici d'appello.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Dopo aver dato preliminare atto del decesso dell'imputato G.d.C.G., occorso in data (OMISSIS) e documentato dalla certificazione versata in atti, osserva la Corte che i ricorsi, seppure per taluni aspetti radicalmente destituiti di pregio, risultano complessivamente infondati per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Tutte le difese hanno, con vario grado di approfondimento, mosso censura avverso il rigetto delle eccezioni in materia di intercettazioni telefoniche, revocando in dubbio la stessa legittimità delle captazioni operate sulla base della prospettazione di un titolo (falso ideologico in atto pubblico) che assumono strumentale in quanto non sostenuta dai gravi indizi di reato richiesti dall'art. 267 c.p.p., comma 1, e, comunque, autorizzate con decreti per più versi illegittimi.
Riveste carattere pregiudiziale la delimitazione dell'ambito del sindacato di legittimità in ordine ai dedotti profili d'inutilizzabilità. Questa Corte ha in più circostanze chiarito che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'inesistenza della gravità indiziaria ritenuta dal giudice che ha emesso il decreto di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche, poichè il vaglio del giudice adito nell'esame delle questioni processuali comprende il potere di esaminare gli atti per verificare l'integrazione della violazione denunziata, ma non anche quello di interpretare in modo diverso, rispetto alla valutazione del giudice di merito, i fatti storici posti a base della questione, se non nei limiti della mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Sez. 5, n. 19388 del 26/02/2018, Monagheddu e altro, Rv. 273311;Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro ed altri, Rv. 230568; in termini Sez. 4, n. 6222 del 19/12/2008 - dep. 2009, Cirianni e altri, Rv. 243768 secondo cui il sindacato di legittimità sulla valutazione operata dal giudice della cognizione in merito ai fatti presupposto dell'applicazione di una norma processuale è limitato alla verifica della sussistenza e della logicità della motivazione adottata sul punto).
Si è, infatti, condivisibilmente argomentato che, anche nella materia processuale il sindacato della Corte di cassazione è limitato a profili squisitamente di legittimità sicchè la possibilità di esaminare gli atti del processo per verificare l'esistenza della violazione denunziata non fa venir meno il rigoroso limite che vieta di interpretare in modo diverso rispetto al giudice di merito i fatti storici posti alla base del dato processuale, se non nei limiti della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, dovendo riconoscersi l'esistenza di uno spazio valutativo riservato esclusivamente al giudice di merito, coincidente con quello tipico dell'apprezzamento dei fatti di cui lo stesso dispone in materia di valutazione della prova.
Ciò vale anche nel caso di motivazione per relationem poichè, allorquando la verifica di simile sistema giustificativo della decisione richieda un apprezzamento o un accertamento in fatto, la valutazione del giudice di merito, se adeguatamente e logicamente motivata, deve reputarsi insindacabile in sede di legittimità.
1.2 La Corte territoriale ha confermato la correttezza del giudizio reiettivo già espresso dal primo giudice, convalidandone le argomentazioni ed evidenziando come, a partire dal decreto autorizzativo n. 1522/09, i provvedimenti che avevano consentito o prorogato le intercettazioni di conversazioni avevano addotto l'esistenza di gravi indizi di reato proprio con riferimento alla contestazione di falso ideologico ex art. 479 c.p. con riguardo a ipotizzate falsificazioni di documenti, finalizzate ad ottenere indebiti rimborsi per prestazioni sanitarie. I decreti originari e quelli di proroga, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti, rimandavano alle ricostruzioni investigative, che avevano tratto spunto dalla denuncia di un testimone diretto dei fatti alla trasmissione "Striscia la Notizia", trasfuse nella nota n. 1/89.4.2007 dell'11 giugno 2009 del Comando Carabinieri NAS di Palermo, che riepilogava gli esiti delle indagini fino a quel momento eseguite a carico di ignoti e richiamava precedenti annotazioni dell'Arma, ove si faceva esplicito riferimento (f. 106 della nota dei Carabinieri del 3 luglio 2008) ad una consistente attività di falsificazione ideologica di atti pubblici ai danni della P.A. sanitaria in tema di rimborsi.
La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente evidenziato in tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni che il presupposto della sussistenza dei gravi indizi di reato non va inteso in senso probatorio (ossia come valutazione del fondamento dell'accusa), ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Carrara ed altri, Rv. 263044; Sez. 6, n. 10902 del 26/02/2010, Morabito, Rv. 246688) e che richiedono una ricognizione sommaria degli elementi dai quali sia dato desumere la probabilità dell'avvenuta consumazione di un reato ma non un'esposizione analitica, nè tanto meno l'evidenziazione di un esame critico degli stessi (Sez. 6, n. 42178 del 07/11/2006, Froncillo, Rv. 235318).
Pertanto, risulta estranea alla previsione dell'art. 267 c.p.p., comma 1, quasivoglia valutazione di fondatezza, sia pure solo sul piano indiziario, dell'ipotesi di reato in relazione alla quale si chiede l'attivazione del mezzo di ricerca della prova.
Siffatta ricognizione è contenuta nei provvedimenti di cui si controverte, secondo l'argomentato avviso dei giudici di merito e come ammesso dagli stessi ricorrenti, le cui censure sono indirizzate ad evidenziare la mancanza di un apprezzamento critico sugli elementi fondanti l'addebito, atteso l'insistito richiamo al mancato esercizio dell'azione penale per il delitto di falso, sebbene alcun giudizio prognostico sia richiesto in sede di autorizzazione alla captazione.
Peraltro, costituisce pacifica acquisizione giurisprudenziale la piena legittimità della motivazione per relationem dei decreti autorizzativi quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del pubblico ministero ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d'averle prese in esame e fatte proprie, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'adozione del particolare mezzo di ricerca della prova (da ultimo, Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017, P.M. in proc. Tipa e altri, Rv. 270758; in tal senso Sez. U, n. 919 del 26/11/2003 - dep. 2004, Gatto, Rv. 226485; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242418; Sez. 1, n. 9764 del 10/02/2010 Femia, Rv. 246518;Sez. 5, n. 24661 del 11/12/2013, Adelfio, Rv. 259867).
La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, segnalato che esiste una ben chiara differenza tra mancanza di motivazione (o motivazione apparente perchè meramente riproduttiva del dato normativo) ed eventuale difetto, integrabile e sanabile, della motivazione, precisando che soltanto la mancanza (tale dovendosi intendere anche la mera apparenza o l'assoluta incongruità) della motivazione comporta l'inutilizzabilità rilevabile in ogni grado e fase dei risultati delle operazioni captative (Sez. U., n. 17 del 21/6/2000, Primavera) mentre il difetto della motivazione - che si ha allorchè questa sia incompleta, insufficiente, non perfettamente adeguata, affetta da vizi che non negano, nè compromettono la giustificazione, ma la rendono non puntuale - è emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata - ovverosia dal giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni o dal giudice dell'impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità - e, non costituendo diretta violazione del precetto dell'art. 15 Cost., non conduce all'inutilizzabilità patologica delle captazioni (in motivazione, Sez. 1, n. 9764 del 10/02/2010, Femia, Rv. 246518).
Alla luce del richiamato principio s'appalesano destituiti di pregio i rilievi, svolti in particolare dalla difesa dello S., in ordine alla pretesa sovrapposizione della giustificazione resa dai giudici di merito in sede di reiezione delle doglianze difensive rispetto ai contenuti dei decreti censurati, attesa la piena legittimità dell'integrazione della motivazione eventualmente incompleta o inadeguata del giudice emittente.
1.3 Nella specie, la Corte territoriale, in conformità alle valutazioni già espresse dal primo giudice, ha richiamato la genetica contestazione di falso ex art. 479 c.p. che fin dall'inizio ha contraddistinto il procedimento n. 371/2007 Rgnr a carico di indagati ignoti, negando rilievo alla circostanza che in relazione alla stessa non sia stata coltivata l'azione penale in ragione della inidoneità degli elementi probatori acquisiti a sostanziare l'accusa che nulla toglie alla piena plausibilità investigativa del primigenio addebito.
Ha ulteriormente escluso, in perfetta aderenza agli indirizzi ermeneutici di questa Corte, che il venir meno della fattispecie di falso all'esito delle investigazioni possa retroattivamente inficiarne l'utilizzabilità in relazione ad ipotesi di reato diverse, quali quelle di truffa aggravata nella specie residuate. Infatti, i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per uno dei reati rientranti tra quelli indicati all'art. 266 c.p.p. sono utilizzabili anche relativamente ad altri reati che emergano dall'attività di captazione, ancorchè per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite ed a prescindere dal ricorrere delle condizioni dettate dall'art. 270 c.p.p. in quanto il concetto di diverso procedimento non equivale a quello di diverso reato (ex multis, Sez. 6, n. 19496 del 21/02/2018, Cante e altri, Rv. 273277; Sez. 3, n. 28516 del 28/02/2018, P.M. in proc. Marotta, Rv. 273226).
Ha evidenziato, quanto alle captazioni disposte all'interno delle stanze dei dirigenti delle varie cliniche coinvolte nelle indagini, che dalle annotazioni dei CC richiamate dai decreti autorizzativi emergevano chiari elementi che ivi si svolgessero le attività delittuose che sostanziavano i provvisori addebiti, operando un opportuno richiamo al fatto che simile valutazione implica un giudizio prognostico ex ante, all'atto della emanazione del provvedimento di autorizzazione, giacchè in tal caso l'interesse all'inviolabilità del domicilio trova il limite della tutela di interessi generali, anch'essi costituzionalmente garantiti, ravvisabili nell'esigenza di esercitare l'azione penale che, ex art. 112 Cost., è obbligatoria (Sez. 2, n. 1831 del 12/03/1998, Zagaria P, Rv. 211142).
La Corte territoriale ha analogamente disatteso con congruo apparato giustificativo, condividendo le risposte già fornite dall'ordinanza 25/2/2013 del Tribunale, la questione relativa alla "remotizzazione" dell'ascolto delle conversazioni intercettate, precisando che non risultano, tra quelle utilizzate per la decisione di primo grado, intercettazioni disposte e gestite da impianti allocati in sedi decentrate rispetto agli uffici della Procura procedente.
Gli ulteriori profili che le difese (in particolare della L.) hanno fatto oggetto di specifica censura e che risulterebbero pretermessi dall'ampia analisi dei giudici d'appello s'appalesano, da un lato, già persuasivamente disattesi dal Tribunale con l'ordinanza richiamata a fronte di una devoluzione di carattere meramente reiterativo; dall'altro, palesemente irricevibili, come nel caso della pretesa inutilizzabilità degli atti d'indagine compiuti dai CC dopo la scadenza del termine prorogato in relazione al procedimento contro indagati ignoti e richiamati nell'informativa riassuntiva del NAS del giugno 2009, tra cui la nota 3/7/2008.
Infatti, secondo il principio più volte affermato da questa Corte, la previsione normativa di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine di durata, ed in assenza di proroga, non trova applicazione nei procedimenti contro ignoti (Sez. 6, n. 20064 del 25/03/2014, R e altro, Rv. 262536; Sez. 2, n. 48104 del 13/11/2008, Ronghi,Rv. 243031) e, in ogni caso, al fine della verifica della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono stati compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume (Sez. 5, n. 19553 del 25/03/2014, Naso, Rv. 260403), rilievo che connota la doglianza come irrimediabilmente generica.
Quanto all'obiezione sub c5) del ricorso proposto nell'interesse dell'imputata L., deve rilevarsi come il riferimento alla necessarietà delle intercettazioni e non all'assoluta indispensabilità richiamata dall'art. 267 c.p.p., comma 1, nel decreto di convalida n. 1819/2009 e in quello successivo di proroga costituisca una mera imprecisione linguistica (semanticamente caratterizzante la disciplina derogatrice dettata per i delitti di criminalità organizzata) priva di significatività patologica ove raffrontata all'intera sequenza procedimentale cui il decreto contestato inerisce, che ha visto costantemente affermata l'imprescindibilità del mezzo di ricerca della prova ai fini della prosecuzione delle indagini in relazione ai reati ipotizzati. Trattasi di incongruenza cui non s'accompagna la degradazione delle esigenze investigative postulate dall'accusa e sprovvista del carattere di decisività al fine della legittimità del provvedimento e dell'utilizzabilità degli esiti conseguiti.
2. Doglianza comune ai ricorrenti V. e I. è quella che revoca in dubbio la configurabilità del delitto di truffa in presenza di un atteggiamento meramente omissivo o reticente nei confronti delle strutture ospedaliere presso le quali gli imputati erano strutturati in regime di esclusività. La Corte d'Appello ha ampiamente argomentato sulle condotte dei prevenuti, concludendo per la piena integrazione dell'illecito contestato, attesa la sussistenza di una "malizia artificiosa sotto forma di nascondimento di uno stato di fatto che, ove palesato, avrebbe interrotto la percezione abusiva di una componente retributiva" e, quindi, dell'induzione in errore degli enti datore di lavoro e il conseguente illegittimo personale arricchimento. La valutazione dei giudici di merito è giuridicamente corretta e vota i rilievi difensivi all'inammissibilità in quanto, per costante e condivisibile avviso della giurisprudenza di legittimità, in tema di truffa contrattuale anche il silenzio maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Sez. 2, n. 28791 del 18/06/2015, Bidoli, Rv. 264400; n. 23079 del 09/05/2018,Blasetti, Rv. 272981).
Nella specie, i prevenuti, violando il rapporto di esclusiva cui si erano contrattualmente impegnati e omettendo di comunicare lo svolgimento di attività extra moenia, inducevano in errore le amministrazioni di appartenenza circa la persistenza di un rapporto di lavoro totalizzante, così garantendosi la percezione della relativa indennità senza averne titolo. Trattasi all'evidenza di un contegno che non può qualificarsi come meramente passivo in quanto l'omessa rivelazione di circostanze che i ricorrenti avevano l'obbligo di riferire configura uno stato di fatto apparente, conseguenza diretta del preordinato inganno dell'agente nella prospettiva dell'induzione in errore della controparte.
2.1 Risulta, altresì, inammissibile la doglianza articolata dalla difesa del ricorrente I. circa l'asserita, illogica, svalutazione della documentazione prodotta che riconduceva la frequentazione della (OMISSIS) da parte del prevenuto ad un progetto sanitario mai decollato piuttosto che alla concreta cura di pazienti ivi ricoverati. La difesa sollecita una rivalutazione, in questa sede preclusa, delle note richiamate in ricorso,sebbene i giudici d'appello abbiano dato ampio e persuasivo conto della ritenuta strumentalità dei documenti cennati e dell'inidoneità degli stessi a scalfire le contrarie e concludenti acquisizioni probatorie circa l'effettiva prestazione di attività libero professionale presso la struttura privata da parte del prevenuto.
3. Destituite di pregio risultano le censure formulate dalle difese dei ricorrenti L., S. e G. che assumono l'immutazione del fatto con riguardo alla configurazione del contributo concorsuale da ciascuno prestato alla consumazione delle truffe materialmente ascritte ai sanitari di riferimento V. e I., per avere la sentenza impugnata abbandonato la prospettiva dell'istigazione condensata nell'incolpazione per abbracciare quella del concorso nella forma dell'agevolazione dell'altrui condotta delittuosa, in violazione dei principi che presidiano la correttezza e completezza delle informazioni sull'accusa e dei correlati diritti di difesa.
La Corte territoriale ha evidenziato in relazione alla posizione della L. (ma con argomenti nella sostanza ripresi anche con riguardo alle posizioni dei coimputati S. e G.) che "costei non si è semplicemente limitata a tollerare, senza fare alcunchè, una situazione illecita che le era indubbiamente nota nei suoi passaggi essenziali e rimarchevoli, ma ha cooperato fattivamente con un apporto causale rilevante.... - integralmente agevolativo, come basta perchè sia integrato il concorso di persone nel reato - alla realizzazione della truffa dell'imputata V.", in particolare concedendole di lavorare nella sua clinica privata, mettendole a disposizione un'organizzazione aziendale sanitaria già rodata e funzionale nel reparto di oncologia; retribuendola in nero fino alla fine con vari stratagemmi contabili per il lavoro svolto, in tal modo incentivandola a essere infedele nei confronti dei propri doveri di esclusiva verso il Policlinico universitario di (OMISSIS), presso il quale l'imputata era strutturata da tempo. Con riguardo alla posizione dello S. la sentenza impugnata ha, altresì, valorizzato ai fini della conferma della responsabilità concorsuale gli specifici doveri connessi alla posizione direttiva del prevenuto che gli facevano carico della verifica dei requisiti dei dipendenti e del loro inquadramento amministrativo.
3.1 La giurisprudenza di legittimità ritiene con orientamento consolidato e costante che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; tra le più recenti Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607; Sez. 2, n. 29248 del 26/04/2018, Pagnozzi,Rv. 272947).
Con riguardo allo specifico tema della correlazione tra accusa di concorso di persona nel reato e sentenza, questa Corte ha ulteriormente affermato che vi è immutazione del fatto in una delle sue componenti (azione od omissione, nesso di causalità, evento) quando risulti uno stravolgimento tra accusa e sentenza e non soltanto una variante che non incida nel caso concreto in maniera decisiva sul rapporto fatto-autore in relazione all'originario addebito a costui mosso e al correlativo inviolabile diritto effettivo di difesa (Sez. 1, n. 119 del 22/10/1994, dep.1995, Pregnolato ed altri, Rv. 200088).
Alla stregua del tenore dell'incolpazione, la pubblica accusa ascrive alla Lattieri al pari dei coimputati ricorrenti S. e G. di aver tenuto una "condotta istigatrice" in quanto, pur essendo costoro a conoscenza del rapporto di esclusività intrattenuto da V.M.R. e I.G. con le strutture ospedaliere di rispettiva appartenenza, li avevano reclutati e li retribuivano per l'attività libero professionale svolta presso le cliniche private di riferimento.
Al di là della testuale qualificazione della partecipazione alla stregua dell'istigazione, che valorizza una sollecitazione idonea all'insorgere del proposito criminoso, la rubrica elevata fa espresso cenno alla retribuzione dell'attività svolta dai sanitari che, sotto il profilo fattuale, implica sia l'instaurazione di un rapporto di lavoro di fatto dei prevenuti con le cliniche private, e per esse con i responsabili della gestione, che la corresponsione del relativo trattamento in nero, circostanze che a monte postulano in termini logicamente necessitati la piena consapevolezza della giuridica impossibilità di inquadrare contrattualmente detti collaboratori per effetto dei vincoli derivanti dai rapporti intrattenuti con le strutture pubbliche.
Se - pertanto - non può riconoscersi pregio alle censure che, in punto di dolo, fanno leva su una pretesa sostanziale differenza tra incompatibilità ed esclusività in quanto trascurano di considerare le competenze nella specifica materia dei ricorrenti e il contesto ambientale di comune appartenenza, debbono ugualmente disattendersi le doglianze sulla natura del contributo concorsuale prestato agli illeciti in contestazione giacchè il fatto addebitato in rubrica già enucleava un comportamento di più ampia portata rispetto alla "condotta istigatrice", suscettibile di ricomprendere nel focus partecipativo l'instaurazione del rapporto di lavoro parallelo con modalità di "protezione" dei sanitari che violavano l'esclusiva, che ne rafforzavano e agevolavano la determinazione antigiuridica.
L'esatta perimetrazione operata dai giudici di merito dei contributi causali prestati dai ricorrenti alle condotte di truffa materialmente ascritte alla V. e allo I. si inserisce, dunque, senza alcuna frattura suscettibile di censura in questa sede, nell'alveo delimitato dalla contestazione, costituendone mera specificazione e senza alcuna violazione delle prerogative difensive, ampiamente esercitate anche sul versante della causalità concorsuale.
Non può sottacersi che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, a fronte delle forme differenziate e atipiche nelle quali può manifestarsi il contributo causale del concorrente nel reato, assorbente rilievo deve riconnettersi all'obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti (Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017 - dep. 2018, Raduano, Rv. 271755; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro e altro, Rv. 262310).
Sulla scorta del richiamato principio si è ulteriormente precisato che il giudice di merito non è tenuto a precisare il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell'ambito dell'impresa criminosa, essendo sufficiente l'indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento dell'esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall'agente alla realizzazione del reato (Sez. 2, n. 48029 del 20/10/2016, Siesto e altro, Rv. 268177) e si è esclusa la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza allorchè, contestato all'imputato un reato a titolo di concorso personale, se ne affermi la responsabilità in sentenza ai sensi dell'art. 48 c.p., in quanto la responsabilità dell'autore mediato realizza un particolare e qualificato comportamento del tutto compatibile con il contributo sotteso dalla formula di cui all'art. 110 c.p., originariamente contestato (Sez. 2, n. 3644 del 26/10/2016 - dep. 2017, P.G. in proc. Bosio e altro, Rv. 269548) ovvero qualora l'imputato, cui sia stato contestato di essere l'autore materiale del fatto, sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, giacchè tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione (Sez.2, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017).
3.2 Non può, infine, convenirsi con le difese laddove revocano in dubbio l'efficienza causale dei contributi partecipativi enucleati a carico dei ricorrenti sull'assunto che i sanitari V. e I. prestavano attività libero professionale in violazione del rapporto di esclusiva anche presso altre strutture private sicchè il reato sarebbe stato comunque consumato anche in assenza della condotta incriminata. Siffatta interpretazione che dichiaratamente fa leva sul principio condizionalistico puro, non può trovare concordi atteso che la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, che il contributo concorsuale acquista rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento illecito, ma anche quando assuma la forma) di un contributo agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso già esistente nei concorrenti, in modo da aumentare la possibilità di commissione del reato (Sez. 6, n. 36125 del 13/05/2014, Minardo e altro, Rv. 260235). Infatti, ai fini della rilevanza causale della condotta partecipativa è sufficiente che la stessa si manifesti in forme idonee ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, facilitandone l'esecuzione e aumentando la possibilità della produzione del reato.
4. Manifestamente infondate s'appalesano le doglianze dei ricorrenti in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche per difetto di personalizzazione del giudizio sulla meritevolezza del beneficio. La Corte territoriale ha richiamato in senso ostativo in relazione a tutti i prevenuti, a prescindere dalla nominativa indicazione, la gravità dei reati per i quali è intervenuta conferma di responsabilità, in quanto "funzionalmente concepiti ed attuati al fine di lucrare emolumenti non dovuti, a lungo, alle spalle del Servizio Sanitario Regionale, distogliendo inevitabilmente risorse alla già disastrata sanità pubblica locale, a proprio esclusivo vantaggio", l'articolato contesto organizzativo in cui le condotte sono maturate, la non marginale capacità a delinquere dei prevenuti a fronte dell'assenza di peculiari, specifiche circostanze, diverse dall'incensuratezza, suscettibili di contrario, positivo apprezzamento. Trattasi di valutazioni squisitamente di merito, incensurabili in questa sede in quanto sostenute da un congruo apparato argomentativo, esente da criticità giustificative.
5. Quanto all'eccezione di prescrizione variamente declinata dalle difese, deve osservarsi che la sentenza impugnata ha escluso la perenzione dei reati sub 2L) e 2N) alla data della pronunzia osservando che i reati risultano rispettivamente consumati fino al mese di (OMISSIS) e fino al mese di (OMISSIS) sicchè, tenuto conto del periodo complessivo di sospensione del corso della prescrizione di mesi cinque e giorni dieci, il termine sarebbe spirato per il capo 2L) il (OMISSIS) e per il capo 2N) il (OMISSIS). Mentre la difesa dei ricorrenti V. e I. con la memoria difensiva depositata in data 5 ottobre 2018 insta per la declaratoria di prescrizione sull'assunto della maturazione della causa estintiva in epoca successiva alla pronunzia d'appello, gli altri prevenuti - e con particolare ampiezza i difensori degli imputati S. e L. - assumono che alla data della sentenza impugnata fossero quantomeno parzialmente decorsi i termini massimi, aumentati delle sospensioni, dovendo aversi riguardo a tal fine alle singole condotte truffaldine, perfezionatesi mensilmente all'atto della liquidazione dell'indennità d'esclusiva con conseguente illegalità della pena irrogata, comprensiva di quella relativa a titoli perenti.
Rileva la Corte che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito in fattispecie analoga a quella a giudizio la configurabilità della fattispecie di truffa c.d. a consumazione prolungata, ravvisabile quando la percezione dei singoli emolumenti sia riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento, con la conseguenza che il momento della consumazione del reato -dal quale far decorrere il termine di prescrizione - è quello in cui cessa la situazione di illegittimità (Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, Trivellini, Rv. 272250).
Pertanto, considerato che - ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1998, come modificato dalla L. n. 138 del 2004 - il diritto a percepire l'indennità di esclusività cessa soltanto con la specifica richiesta del medico di passare al rapporto non esclusivo, non essendo invece necessario ribadire, di anno in anno, la volontà di permanere nel regime di esclusiva, la condotta deve essere apprezzata in termini unitari con decorrenza della prescrizione dalla cessazione e/o rimozione della situazione antigiuridica. Trattasi di principio già reiteratamente affermato in materia di truffa in danno degli enti previdenziali per la ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente e qualificata come reato a consumazione prolungata giacchè il soggetto agente sin dall'inizio ha la volontà di realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo e, pertanto, il momento consumativo e il dies a quo del termine di prescrizione coincidono con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato - ed il danno addirittura incrementandosi - fino a quando non vengano interrotte le riscossioni (Sez. 2, n. 11026 del 03/03/2005, P.G. in proc. Becchiglia, Rv. 231157; n. 26256 del 24/04/2007, Cornelio, Rv. 237299). Rileva, dunque, la Corte come nella specie, seppur per motivi non puntualmente colti dalle difese, la pena risulti erroneamente determinata con riguardo agli aumenti operati ex art. 81 c.p., comma 2, vertendosi in ipotesi di unitaria condotta delittuosa e non di reato continuato.
6. Alla luce delle osservazioni che precedono, in particolare dell'erronea qualificazione quoad poenam della fattispecie per cui è condanna, ed apprezzati i concreti contenuti e gli sviluppi argomentativi delle censure mosse all'impugnata decisione, deve concludersi che, pur in presenza di profili di genericità e manifesta infondatezza, i ricorsi s'appalesano nel complesso meramente infondati con la conseguenza che, in presenza di un contraddittorio di legittimità regolarmente instaurato, deve rilevarsi l'ormai maturata prescrizione degli illeciti ascritti e disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata a tale titolo nei confronti degli imputati S.G., V.M.R., L.M.T., I.G.A.. La declaratoria d'estinzione in relazione all'imputato G.d.C. deve essere, invece, emessa a norma dell'art. 150 c.p.. Alla conferma delle statuizioni civili s'accompagna la condanna dei ricorrenti, secondo le indicazioni meglio precisate in dispositivo, alla refusione delle spese di assistenza e difesa del grado in favore delle parti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.d.C.G. perchè il reato ascrittogli è estinto per morte dell'imputato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di V.M.R., L.M.T., S.G. e I.G.A. perchè i reati di cui ai capi 2L) e 2N) loro rispettivamente ascritti sono estinti per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili e condanna i predetti V., L., S. e I. in solido tra loro alla refusione delle spese in favore della parte civile Assessorato Regionale della Salute della Regione Sicilia, che liquida in Euro 3.000,00, nonchè i soli S. e I. alla refusione delle spese in favore della parte civile Azienda Ospedaliera, (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre rimborso spese forfettarie al 15%, Cpa e Iva.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2019