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Truffa in danno dello Stato: è configurabile il concorso materiale con il reato di corruzione


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

È configurabile il concorso materiale tra il reato di truffa in danno dello Stato e quello di corruzione, a condizione che gli effetti dell'accordo corruttivo abbiano determinato l'induzione in errore nei confronti di un pubblico ufficiale diverso da quello corrotto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il concorso in quanto gli artifici e raggiri erano stati finalizzati a indurre in errore gli stessi funzionari nei cui confronti era stata riconosciuta la corruzione). (Cassazione penale , sez. VI , 06/10/2021 , n. 37653).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 06/10/2021 , n. 37653

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Palermo riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, assolvendo il B., il T., la A., il C., i due V. e il V. da taluni reati, riconoscendo a quattro imputati le attenuanti generiche equivalenti alla riconosciuta aggravante; escludendo per altri una aggravante ed effettuando un diverso bilanciamento tra circostanze per uno dei prevenuti; rideterminando le pene finali, eliminando o sostituendo alcune pene accessorie, e concedendo a taluni il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della pena, in forma subordinata per uno; e confermava nel resto la medesima pronuncia del 30 gennaio 2017 con la quale il Tribunale di Palermo aveva condannato:


- P.C., T.G., B.A. e A.I. in relazione ai reati di cui all'art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3 (capo di imputazione 1); artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 5); artt. 110 e 81 c.p., e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 6); artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 7); artt. 110 e 81 e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 8); artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 9); art. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 10); artt. 81,110,476 e 491-bis c.p. (capo 26);


- il solo P.C. in relazione ai reati di cui agli artt. 81 e 110 c.p., e art. 322 c.p., comma 4, (capo 2); art. 110 c.p. e art. 322 c.p., comma 4, (capo 3); art. 110 c.p. e art. 322 c.p., comma 4, (capo 4);


- T.G., B.A. e A.I. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p., (capo 11);


- T.G., B.A., A.I., V.A. e V.L. in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 12);


- T.G., B.A. e A.I. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 13);


- T.G., B.A., A.I. e V.G. in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 14);


- T.G., B.A. e A.I. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 15); artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 16); artt. 81,110,319,321 e 319-bis c.p. (capo 17); artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 18); artt. 81,110,476,491-bis c.p. (capo 28);


- T.G., B.A., A.I. e C.G. in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 20);


- T.G., B.A., A.I. e F.V. in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 22);


- T.G., B.A. e A.I. (in concorso con T.G.) in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (capo 24).


Rilevava la Corte territoriale come le emergenze processuali avessero dimostrato la colpevolezza dei prevenuti con riferimento a reati commessi nella veste di funzionari operanti all'interno dell'ufficio tributi del comune di Palermo: in dettaglio, il P. aveva agito come direttore del settore contenziosi dell'ufficio Tarsu (tassa sui rifiuti solidi urbani) e Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi); il T. e il B. come istruttori geometri, impegnati a verificare le dichiarazioni dei contribuenti, nonché effettuare il calcolo delle superfici e delle destinazioni d'uso degli immobili da assoggettare a quella imposta; la A. come istruttore amministrativo incaricata di inserire i relativi dati nel sistema informatico dell'ufficio. Imputati che avevano provveduto, volta per volta, ad alterare i dati, riducendo le superfici o modificando le destinazioni d'uso degli immobili interessati, proponendo ai contribuenti la possibilità di pagare una somma di denaro per ottenere un risparmio nella quantificazione della Tarsu o della Tares da versare; versamento di quelle somme di denaro che, oltre ad integrare gli estremi di una corruzione aggravata per atti contrari ai doveri di ufficio, aveva finito per configurare anche una truffa ai danni dell'ente locale (aspetto, quest'ultimo, che era valso a confermare l'affermazione di penale responsabilità dei privati V., V., C. e F., che avevano beneficiato della riduzione delle imposte da versare all'amministrazione comunale). Attività che erano state svolte dai pubblici funzionari in maniera continuativa e organizzata, tanto da poter riconoscere a carico dei quattro pubblici ufficiali la sussistenza del reato associativo loro ascritto al capo 1).


Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso i nove imputati elencati in epigrafe.


2. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il P. ha dedotto, con un unico punto, la violazione di legge, in relazione all'art. 546 c.p.p., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3, art. 444 c.p.p. e art. 448 c.p.p., comma 1 e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente disatteso la richiesta con la quale la difesa aveva sollecitato la censura della decisione del Pubblico Ministero di non prestare il consenso alla richiesta di applicazione di pena a suo tempo formulata dall'imputato: sollecitazione era stata formulata tanto al giudice del dibattimento di primo grado quanto al giudice di appello, la cui fondatezza era stata confermata dal fatto che in secondo grado il calcolo della pena era stato effettuato sostanzialmente in maniera conforme (anzi in maniera ancora più favorevole) al calcolo proposto con la richiesta di patteggiamento.


3. Con due distinti atti di analogo tenore, sottoscritti dal loro comune difensore, L. e V.A. hanno dedotto il vizio di motivazione, per carenza, contraddittorietà, illogicità e travisamento del fatto e della prova, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna con riferimento all'imputazione del capo 12), benché gli elementi di prova a carico dei due V. fossero di equivoca valenza (la formale sottoscrizione di una denuncia di variazione dei dati catastali, il rinvenimento di una copia della sua patente nello studio del coimputato B., le parziali ammissioni del fratello V.L. e la scoperta di una somma di denaro in contanti nello studio del T. e del B., che era compatibile con la spiegazione del compenso professionale); omettendo di considerare che nella richiesta di rideterminazione della Tares firmata dal V., come legale rappresentante della società Expo Truck, erano stati indicate circostanze vere e che la situazione di incertezza che aveva condotto la Corte di merito ad assolvere i due imputati dal reato di corruzione avrebbero dovuto portare ad adottare la medesima conclusione anche per l'addebito di truffa aggravata.


4. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il T. ha dedotto i seguenti due motivi.


4.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 448 c.p.p., per avere la Corte di appello omesso di rispondere in ordine alla richiesta con la quale, nel corso del giudizio di primo grado, la difesa aveva chiesto al Tribunale di giudicare ingiustificato il diniego manifestato dal pubblico ministero alla istanza di patteggiamento formulata nell'udienza preliminare e reiterata subito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; nonostante, poi, la Corte territoriale abbia poi finito per ritenere incongrua la pena inflitta in primo grado e per ridurla.


4.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere la Corte distrettuale confermato la pronuncia di condanna dell'imputato in relazione alla fattispecie di truffa aggravata, benché fosse risultato provato che l'ente comunale, presunta vittima dell'illecito, non aveva fornito alcuna cooperazione per il conseguimento del profitto ingiusto e che il danno patito era derivato da una procedura di autoliquidazione da parte del contribuente ed era consistito nel versamento di tributi locali per importi inferiori a quanto dovuto; senza neppure trascurare che una truffa non poteva essere riconosciuta in assenza di un inganno, dato che il risultato perseguito dagli imputati era stato in sostanza quello di dare attuazione ad un accordo corruttivo.


5. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il V. ha dedotto la violazione di legge, in relazione all'art. 546 c.p.p., e il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado sulla base di una non corretta valutazione delle prove.


6. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il B. ha dedotto i seguenti tre motivi.


6.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125,546 e 448 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di rispondere in ordine alla richiesta con la quale, nel corso del giudizio di primo grado, la difesa aveva chiesto al Tribunale di giudicare ingiustificato il diniego manifestato dal pubblico ministero alla istanza di patteggiamento formulata nell'udienza preliminare e reiterata subito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; senza che rilevi la circostanza della intervenuta assoluzione dell'imputato per alcuni reati, perché la Corte territoriale avrebbe potuto accogliere la richiesta di patteggiamento "espungendo" la pena calcolata con riferimento alle imputazioni per le quali vi era stato l'esito assolutorio.


6.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermato la condanna dell'imputato con riferimento alle imputazioni di corruzione, nonostante non fosse stato chiarito qual era stato il ruolo della A. nelle vicende in esame; quali erano state le asserite modalità di divisione dei profitti tra gli associati; e quale era stato il compito del P., in realtà coinvolto in maniera marginale solo in tre vicende contributive.


6.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermato la condanna dell'imputato con riferimento alle imputazioni di truffa, nonostante fosse stato accertato che non vi era stato alcun atto volontario dell'amministrazione comunale in ordine alla riscossione dei tributi e al recupero di debiti pregressi, essendo stato l'ente solo indotto in errore dal comportamento infedele di propri dipendenti.


7. Con atto sottoscritto dal suo difensore, la A. ha dedotto i seguenti tre motivi.


7.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la condanna della imputata con riferimento al reato associativo, senza tenere conto che la A. non aveva avuto alcun rapporto diretto con i contribuenti né aveva ricevuto dagli stessi somme di denaro, né che la stessa aveva ricevuto importi dagli altri coimputati, indicati nella motivazione come mere "regalie"; tanto più che era risultato che la A. avesse segnalato al suo superiore gerarchico possibili condotte illecite del P., circostanza incompatibile con l'affectio societatis del sodalizio criminale ipotizzato.


7.2. Violazione di legge, in relazione alle norme di diritto penale sostanziale riguardanti le fattispecie di corruzione e di falso, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermato la condanna della imputata, senza spiegare quali fossero i concreti elementi idonei a provare una sua consapevolezza di partecipazione alle iniziative delittuose degli altri imputati.


7.3. Violazione di legge, in relazione alle norme di diritto penale sostanziale riguardanti le fattispecie di truffa, e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermato la condanna della imputata, senza indicare quali fossero i dati dimostrativi da cui poter desumere la prova di una sua consapevolezza di partecipazione alle iniziative delittuose degli altri imputati.


8. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il C. ha dedotto la violazione di legge, in relazione all'art. 640 c.p. e D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna dell'imputato con riferimento al fatto contestatogli al capo 20), erroneamente sostenendo che le superfici indicate nella denuncia di variazione Tares non corrispondessero a quelle rilevate dai tecnici comunali, tenuto conto che, in base alla normativa sopra richiamata, le zone di transito di un garage non sono soggette a tassazione; senza considerare che con quella denuncia di variazione il C. non avrebbe conseguito alcun profitto ingiusto, né avrebbe causato un effettivo danno all'ente comunale.


9. Con atto sottoscritto dal suo difensore, il F. ha dedotto i seguenti quattro motivi.


9.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 56 e 640 c.p., per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di condanna di primo grado in relazione al reato ascrittogli al capo 22), erroneamente ritenendo che l'illecito fosse stato consumato alla data di inserimento nel sistema informatico del comune di dati alterati, in epoca anteriore al momento della trasmissione della denuncia all'ufficio tributi per il supermercato di via (OMISSIS) (mentre in precedenza la tares era stata pagata da altra società, Val Alimentari) e dopo che, nel 2013, il tributo era stata già versato con due modelli per il supermercato di via (OMISSIS): dunque, le condotta poste in essere avrebbero al più essere considerate come integranti ipotesi di tentata truffa.


9.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 521,522 e 604 c.p.p., per avere la Corte territoriale condannato il F. per il reato di truffa con riferimento alla denuncia tares presentata per il supermercato di via (OMISSIS), ritenendo sussistente un fatto diverso da quello formalmente contestato, che aveva ad oggetto esclusivamente la presentazione della denuncia tares per il supermercato di via (OMISSIS).


9.3. Vizio di motivazione, anche in relazione all'art. 546 c.p.p., per avere la Corte distrettuale omesso di indicare gli elementi di prova da cui poter desumere che le denunce tares presentate dalla società F.D. Alimentari per i due indicati supermercati fossero soggettivamente riferibili al F.V. e non anche a F.D. che, quale legale rappresentante della anzidetta società, le aveva sottoscritte.


9.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 538 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito omesso di spiegare quale fosse stato il danno patito dalla parte civile amministrazione comunale di Palermo.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte il ricorso presentato nell'interesse di P.C. vada accolto, perché, pur essendo infondato l'unico motivo unico dedotto con l'atto di impugnazione, il prevenuto beneficia - per le ragioni che saranno specificate nel prosieguo - dell'effetto estensivo dell'impugnazione proposta da altro ricorrente.


Nel caso di specie è accaduto che l'imputato, dopo aver formulato in sede di udienza preliminare una richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., alla quale era stato negato il consenso dal Pubblico Ministero per la non congruità della pena, aveva rinnovato la medesima richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento a norma dell'art. 448 c.p.p., comma 1: istanza che era stata disattesa dal Tribunale che aveva preso atto del reiterato diniego di consenso da parte del rappresentante della pubblica accusa. Il P. aveva, in seguito, sollecitato il giudice di appello a sindacare e ritenere ingiustificato quel dissenso.


Alla luce di tali premesse, è corretta la decisione della Corte di appello di Palermo di non accogliere la doglianza difensiva.


Premesso che non è censurabile la scelta del giudice di primo grado di non rivalutare, dopo la chiusura del dibattimento, quella richiesta di patteggiamento, in quanto non risulta né è stato allegato che la difesa avesse domandato una nuova pronuncia su quella questione, va rilevato come il Tribunale, al termine del giudizio, avesse assolto il P. da un reato (come era accaduto anche per il T. e il B., che erano stati assolti da ben tre dei reati loro ascritti: imputati per i quali, come si preciserà, valgono analoghe considerazioni) e lo avesse condannato per altri reati ad una pena di gran lunga superiore di quella indicata nella richiesta a suo tempo formulata ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. Con la conseguenza che la Corte di appello era stata chiamata a decidere su imputazioni in parte diverse da quelle che erano state originariamente contestate, in quanto il thema decidendum devoluto alla sua cognizione era differente da quello posto a base della iniziale richiesta di patteggiamento.


In tale contesto, è irrilevante che la circostanza che Corte territoriale, nel rideterminare la pena finale, anche in considerazione dell'intervenuto proscioglimento dell'imputato in appello per ulteriori capi di imputazione, abbia in parte seguito un percorso di calcolo della sanzione analogo a quello che era stato adottato dalla difesa del prevenuto con la iniziale richiesta di applicazione di pena.


Ciò perché l'art. 448 c.p.p., comma 1, mentre permette all'imputato di rinnovare la richiesta rigettata, anche modificandone il contenuto, purché prima della dichiarazione del dibattimento (così, tra le molte, Sez. 6, n. 42775 del 29/04/2019, La Cava, Rv. 260449), non consente al giudice di primo grado dopo la chiusura del dibattimento o al giudice dell'impugnazione di delibare su una richiesta di patteggiamento di contenuto diverso da quello della originaria istanza. Una differente soluzione, oltre a non essere consentita dalla lettera della norma, sarebbe contraria alla ratio che qualifica la disciplina del rito speciale de quo, poiché è certo che il giudice può accogliere o rigettare una richiesta di applicazione di pena, senza, però, poter modificare il contenuto del negozio processuale raggiunto dalle parti.


In questa ottica va qui ribadito il principio di diritto secondo il quale il giudice di appello può accogliere la richiesta dell'imputato di applicazione di pena, nel caso di dissenso del pubblico ministero o di rigetto da parte del giudice dell'udienza preliminare o di quello del giudizio dibattimentale di primo grado, ritenendo ingiustificato quel dissenso o quel rigetto, solamente se vi sia una identità di oggetto nei due giudizi (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 41566 del 05/04/2013, Villa, Rv. 257797).


Ne' conduce a differenti conclusioni l'affermazione contenuta in altra sentenza di questa Corte di cassazione secondo la quale nel giudizio di legittimità, rilevata la sopravvenuta estinzione di alcuni dei reati per i quali l'applicazione di pena era stata disposta, è possibile procedere alla eliminazione della pena per quei reati inflitta (Sez. 3, n. 2697 del 16/01/1991, Sindoni, Rv. 186510): poiché in questo caso il giudice dell'impugnazione non è chiamato a rivalutare l'accoglibilità della originaria istanza non assentita o rigettata, bensì a decide sul contenuto di una sentenza di patteggiamento già emessa in ordine alla quale bisogna considerare le conseguenze di una intervenuta causa estintiva che riguardi alcuni reati oggetto dell'intesa.


3. Il ricorso presentato nell'interesse di T.G. va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito puntualizzati.


3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato per le ragioni già esposte nell'esame dell'analoga doglianza formulata dal P., che devono considerarsi qui integralmente trascritte.


3.2. Il secondo motivo del ricorso e', invece, fondato.


In generale va detto che è condivisibile la soluzione interpretativa che, in tema di configurabilità delle truffe aggravate, ha dato la Corte territoriale, nel senso che è ben possibile la sussistenza di quel reato anche laddove l'attività ingannatoria sia stata indirizzata verso funzionari di un ente pubblico e che l'illecito può considerarsi consumato anche in assenza di iniziative di attiva cooperazione da parte di quei funzionari tratti in errore. Tale decisione e', infatti, in linea con il principio enunciato dalle Sezioni Unite, per cui, ai fini della configurabilità del delitto di truffa, l'atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consiste in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa. Ne consegue che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una "traditio", da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno. (Sez. U, Sentenza n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251499).


Tuttavia, è evidente che nel caso in cui l'addebito di truffa aggravata ai danni di un ente pubblico concorra con quello di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, posto in essere da un pubblico ufficiale appartenente a quello stesso ente - come nella fattispecie è accaduto - il primo reato è configurabile a condizione che gli effetti dell'accordo corruttivo abbiano integrato gli estremi di una induzione in errore nei confronti di un pubblico ufficiale diverso da quello che ha partecipato all'accordo corruttivo (in questo senso Sez. 1, n. 10371 del 08/07/1995, Costioli, Rv. 202738).


Ora, nel presente processo di certo il delitto di truffa non è configurabile in relazione al fatto contestato al capo 6), in cui l'addebito è stato formulato nel senso che gli artifici e i raggiri erano stati finalizzati a indurre in errore "il Comune di Palermo-Ufficio Tarsu", cioè quegli stessi funzionari di quell'ufficio che avevano concorso nella commissione della corruzione.


La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio su tale capo d'imputazione con la formula "perché il fatto non sussiste".


Per tutte le altre analoghe imputazioni, di cui ai capi 8), 10), 12), 14, 16), 18), 20, 22) e 24), la contestazione è stata effettuata con il riferimento alla induzione in errore genericamente del "Comune di Palermo" ovvero più specificamente del "Comune di Palermo-Ufficio Bilancio e Tributi", cioè con l'indicazione di potenziali funzionari destinatari dell'attività decettiva diversi da quelli che avevano compito gli atti contrari ai doveri di ufficio. Tale aspetto risulta però inadeguatamente esaminato nella motivazione della sentenza impugnata, che appare anche incongrua nella parte in cui contiene l'affermazione che le truffe si sarebbero consumate nel momento in cui gli imputati avevano inserito i dati falsificati nel sistema informatico dell'amministrazione comunale e non anche allorquando la relativa documentazione era pervenuta ai dipendenti pubblici di altro ufficio che avevano provveduto alla emissione delle cartelle esattoriali nei riguardi dei rispettivi contribuenti.


Osta alla pronuncia di un annullamento con rinvio agli effetti penali, per colmare tali lacune motivazionali, l'accertata intervenuta estinzione di tali reati per decorso del termine massimo di prescrizione, considerate le date di consumazione contestate in quei capi d'imputazione e pure tenendo conto del periodo di sospensione di 63 giorni della decorrenza del relativo termine dovuta alla normativa emergenziale in materia di pandemia da Covid-19 (disciplina che, nel corso del giudizio di secondo grado, aveva determinato il rinvio della trattazione del processo dall'udienza dell'11 febbraio 2020 a quella del 17 giugno 2020).


La sentenza impugnata va, perciò, annullata senza rinvio, agli effetti penali, limitatamente ai capi di imputazione innanzi elencati perché i reati sono estinti per prescrizione, non sussistendo le condizioni di evidenza probatoria per pervenire ad una pronuncia assolutoria nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2.


In applicazione dell'art. 587 c.p.p., beneficiano dell'accoglimento di tale motivo del ricorso del T., di natura non esclusivamente personale, tutti gli imputati chiamati rispettivamente a rispondere dei considerati addebiti di truffa aggravata. Con l'effetto che per il P., la A. e il T., la sanzione finale va rideterminata, eliminando le pene degli aumenti per continuazione fissati dai giudici di merito per quei reati.


Per i reati per i quali viene dichiarata la estinzione per intervenuta prescrizione, in presenza delle statuizioni - confermate in appello - di condanna di tutti e nove gli odierni ricorrenti al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., va disposto il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.


4. L'adottato annullamento senza rinvio della sentenza impugnata disposto agli effetti penali - per le ragioni esposte nel precedente punto - nei riguardi di L. e V.A., V.G., C.G. e F.V. in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti (con rinvio al giudice civile della cognizione sulle statuizioni civili), assorbe l'esame dei motivi dei loro ricorsi afferenti ai profili penalistici. Anche per tali imputatit non vi sono le condizioni per emettere una sentenza di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2.


5. Il ricorso presentato nell'interesse di B.A. va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti in parte già anticipati per altri imputati e di seguito confermati.


5.1. Il primo motivo del ricorso è infondato per le argomentazioni delineate nel punto 1, con riferimento ad altro ricorrente, cui è sufficiente in questa sede fare rinvio.


5.2. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.


L'imputato ha formulato una serie di doglianze che, al di là del dato enunciativo, si risolvono in non consentite censure in fatto all'apparato argomentativo su cui fonda la sentenza gravata, prospettando una diversa e alternativa lettura delle acquisite emergenze processuali, cosa che non è consentita in sede di legittimità. I rilievi difensivi si esauriscono, infatti, in una mera critica all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale vi è puntuale risposta a detti rilievi, sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale.


La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali: sicché può ritenersi definitivamente acclarato che l'esistenza di un sodalizio criminale composto dal B., dal T., dal P. e dalla A., dedito alla sistematica e continuativa commissione di plurimi reati contro la pubblica amministrazione, contro il patrimonio e contro la fede pubblica, fosse stata comprovata da dati di conoscenza che avevano dimostrato l'esistenza di una collaudata organizzazione, con divisione di ruoli e di compiti, che aveva visto interessati i quattro prevenuti nella commissione di plurimi delitti fine (molti dei quali confessati, almeno in punto di fatto, dagli imputati T. e B., che avevano finito per riconoscere che "tutti e quattro erano d'accordo"). In particolare, è stato valorizzato il contenuto delle intercettazioni eseguite durante le indagini, in specie il tenore di quelle conversazioni nel corso delle quali il P. aveva spiegato ad uno dei contribuenti, destinatario di una istigazione alla corruzione, come l'utilità di cui era stata sollecitata la consegna o la promessa sarebbe stata ripartita da lui divisa con i suoi concorrenti, "i tecnici", che avrebbero provveduto a "bonificare" ovvero ad "annullare" le pretese fatte valere dalla amministrazione municipale verso il privato; oppure di quei colloqui durante i quali il P. aveva impartito istruzioni o dato indicazioni, di volta in volta, agli altri tre sodali, il B., il T. e la A., per procedere all'"annullamento" ovvero per "dare seguito" a specifiche operazioni (a riscontro della piena consapevolezza anche della A. del concorso che ella dava alla realizzazione delle comuni iniziative criminose): soggetti che erano adusi ad incontrarsi fuori dall'ufficio, in luoghi privati, evidentemente per concordare le iniziative comuni, perché di volta in volta convocati con messaggi volutamente criptici. Ne' va trascurato che in altro colloquio captato dagli inquirenti, il P. aveva esplicitato che i componenti del suo gruppo era composto da cinque persone ("ci sono i tecnici, VV e l'operatore") - verosimilmente riferendosi ai geometri T. e B., e alla operatrice A., oltre ad un quinto soggetto non identificato - che lavoravano d'intesa tra loro (...perché siccome è un lavoro a 360 gradi") ed ai quali era destinata la somma di denaro richiesta al privato; e che il T. e il B. avevano confessato che la A., che non aveva avuto rapporti diretti con i privati contribuenti, veniva remunerata con un importo fortettario per ogni gruppo di "pratiche" curate con quell'inserimento di dati nel sistema informatico, che era diventato uno "snodo" fondamentale per l'attuazione del comune programma criminoso.


E ciò senza che quella ricostruzione fosse stata inficiata dalla circostanza che il P. era risultato coinvolto nella commissione solo in una parte di quei reati fine, perché, come convincentemente spiegato dalla Corte territoriale, ciò non aveva inciso sulla operatività dell'associazione e sul contributo partecipativo di quel sodale, ma solamente sulla diversa ripartizione dei proventi illeciti; né dal fatto che la A., poco prima che venissero eseguite le perquisizioni negli uffici comunali, avesse manifestato - per ragioni non meglio individuate - al proprio superiore gerarchico l'esistenza di voci malevoli" sull'operato del P. (che pure le investigazioni avrebbero dimostrato che, in quel periodo, ella stava continuando a frequentare), in quanto i giudici di merito hanno chiarito che la prevenuta, invitata a fornire riscontri più precisi alle sue accuse, non aveva dato alcun seguito a quella informale iniziale denuncia.


5.3. Il terzo motivo del ricorso è fondato per le ragioni tratteggiate nel punto 3.2, valide anche per il B., per il quale va ugualmente disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali con riferimento ai reati di truffa, oggetto delle imputazioni a lui ascritte: con conseguente rideterminazione della pena finale (secondo i criteri già indicati) e con correlato annullamento della medesima sentenza agli effetti civili ai sensi dell'art. 622 c.p.p..


6. Quanto all'impugnazione proposta nell'interesse di A.I., la prevenuta beneficia dell'effetto estensivo dell'accoglimento dello specifico motivo, contenuto nei ricorsi del T. e del B., afferente alle imputazioni di truffa: con gli effetti già indicati nel punto 5.3., validi anche per la ricorrente in relazione agli addebiti formulati nei suoi riguardi.


Per il resto il ricorso della A. va rigettato, essendo i tre motivi dedotti tra loro strettamente connessi - infondati per le ragioni già illustrate nel punto 5.2., valide anche per l'esame delle analoghe doglianze proposte dalla prevenuta.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata sul capo 6) perché il fatto non sussiste. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli affetti penali, limitatamente ai capi 8), 10), 12), 14), 16), 18), 20), 22) e 24) perché i reati sono estinti per prescrizione e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello sulle statuizioni civili.


Rigetta nel resto i ricorsi di P.C., B.A., A.I., T.G.. Ridetermina la pena per P.C. in anni cinque, mesi quattro e giorni quindici di reclusione; per B.A., A.I. e T.G. in anni cinque e mesi sei di reclusione ciascuno.


Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.


Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021



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