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Atti inseriti per errore nel fascicolo dibattimentale: sono utilizzabili se non è proposta eccezione

L'inutilizzabilità degli atti erroneamente inseriti nel fascicolo del dibattimento non è automatica ma consegue alla tempestiva eccezione di parte, da proprorre entro il termine previsto dall'art. 491, comma secondo, cod. proc. pen., posto che la legge consente l'acquisizione, su accordo delle parti, di atti ulteriori rispetto a quelli previsti dall'art. 431, comma primo, cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di favoreggiamento in cui la Corte ha ritenuto utilizzabile, a seguito della mancata eccezione di parte, un verbale di arresto nella parte descrittiva dei contatti telefonici intercorsi tra i congiunti di un latitante e l'imputata e del comportamento da questa tenuto in occasione di un controllo delle forze dell'ordine presso la sua abitazione).

Cassazione penale , sez. VI , 08/03/2016 , n. 15968


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Venezia con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza di assoluzione appellata dal Procuratore Generale della Corte di appello di Venezia, ha condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e con pena sospesa, C.S. alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di favoreggiamento (art. 378 c.p.) commesso in (OMISSIS), condotta consistita nell'avere aiutato M.L., latitante, a sottrarsi alle ricerche dell'autorità giudiziaria, dandogli ospitalità presso il proprio domicilio e curandone le comunicazioni con l'esterno. Nella sentenza impugnata si dà atto che, attraverso le operazioni intercettazione condotte sulle utenze dei familiari del M., si erano accertate numerose conversazioni intercorrenti tra costoro e l'utenza cellulare intestata alla C. e che nel corso delle successive indagini, il M. veniva trovato presso il domicilio della C. ove la ricorrente aveva confermato agli agenti le false generalità che il M. aveva inizialmente declinato nel tentativo di sottarsi alla cattura. La Corte di appello ha ritenuto tali elementi idonei ad integrare la prova della conoscenza da parte della C. dello status di latitante del M. e, quindi, del reato di favoreggiamento.

2. Con i motivi di ricorso, qui sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione, si deducono vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 431 e 526 c.p.p. e art. 378 c.p., e vizi di motivazione.

La difesa argomenta che la Corte di merito ha affermato la penale responsabilità della ricorrente sulla scorta dei risultati delle operazioni di intercettazione telefonica e della conferma da parte della C. della identità del M. desumendoli dal contenuto del verbale di arresto, a tal fine inutilizzabile poichè il verbale, in quanto atto irripetibile, è idoneo solo a comprovare l'operazione di polizia ma non il contenuto di prove dichiarative in esso comunque riportate, contenuto che deve essere veicolato, nelle forme di legge, al patrimonio conoscitivo del giudice. Rileva che le risultanze del verbale di arresto valorizzate nella sentenza impugnata non erano state confermate nè attraverso la trascrizione delle conversazioni intercettate - poichè la richiesta di perizia era stata disattesa dal Tribunale con ordinanza del 3 maggio 2013, che non aveva costituito oggetto di impugnazione - nè attraverso la escussione del verbalizzante o della teste P.. Infine, allega che agli atti non era stato acquisito il decreto di latitanza del M. e che non risulta provato con certezza lo status di latitante del M. poichè il verbalizzante aveva riferito, in dibattimento, della semplice irreperibilità di questi. La mancanza di prova del presupposto della condotta di reato ascritto alla C. osta a ritenere configurabile la condotta illecita e si riverbera anche sulla configurabilità dell'elemento psicologico del reato, tenuto conto che la P. aveva riferito in dibattimento che la C. ed il M. conducevano una normale vita di relazione, incompatibile con il regime di vita di chi sa di essere latitante.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato perchè i motivi sono infondati.

2. E' pacifico che la Corte territoriale ha motivato il giudizio di colpevolezza della ricorrente sulla scorta delle risultanze esposte nel verbale di arresto del M. inserito nel fascicolo del dibattimento e, dunque, di risultanze di prova acquisite al patrimonio conoscitivo del giudice attraverso la lettura del verbale.

Non può, tuttavia, condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente secondo la quale la condanna della C. è fondata su prove non legittimamente acquisite al dibattimento. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che qualora, senza tempestiva opposizione delle parti, venga inserito nel fascicolo per il dibattimento un atto che non dovrebbe esservi inserito, esso diviene pienamente utilizzabile ai fini della decisione, salvo che si tratti di atto non utilizzabile ex art. 191 c.p.p. poichè acquisito secondo un procedimento "contra legem" (Sez. 4, n. 33387 del 08/07/2008, Kofler, Rv. 241573). Si è altresì precisato che l'inutilizzabilità degli atti erroneamente inseriti nel fascicolo per il dibattimento non è automatica ma consegue alla tempestiva eccezione di parte, anche perchè la legge consente l'acquisizione al fascicolo del dibattimento, su accordo delle parti, di atti ulteriori rispetto a quelli previsti dall'art. 431 c.p.p., comma 1, (Sez. 5, n. 15624 del 15/12/2014, De Luca, Rv. 263261), eccezione che la parte interessata deve proporre entro il termine stabilito dall'art. 491 c.p.p., comma 2 e, cioè, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti.

3. Dai principi indicati consegue che, non essendo stata dedotta alcuna eccezione di utilizzabilità del verbale di arresto del M., ritualmente acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto atto irripetibile relativamente alla esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del M., legittimamente, in assenza di opposizione di parte, la Corte territoriale ha utilizzato e posto a fondamento della propria decisione le risultanze del predetto verbale anche nella parte in cui illustravano le modalità dei contatti telefonici intercorsi tra l'utenza della C. e quelle dei congiunti del M. (pag. 3) e la condotta tenuta dalla ricorrente in occasione del controllo del M. presso la sua abitazione, quando ne confermava agli inquirenti le false generalità da questi fornite onde sottrarsi all'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a suo carico (pag.4). Riguardo alla illustrazione di tali elementi nel verbale di arresto non può ritenersi che si verta in ipotesi di atto formato "contra legem", aspetto che neppure viene dedotto nel motivo di ricorso che, come innanzi precisato, si sofferma, ai fini della dedotta inutilizzabilità, sulla violazione del disposto di cui all'art. 526 c.p.p. ovvero dell'art. 431 c.p.p..

4. La sentenza impugnata, al di là di alcuni passaggi motivazionali non univoci in ragione del tono interrogativo utilizzato dall'estensore, ha evidenziato l'elemento fondante della responsabilità a carico della C. nella circostanza che la ricorrente, al momento del controllo di polizia effettuato nella sua abitazione, aveva confermato le false generalità fornite dal M. ai poliziotti, condotta che, secondo la sentenza impugnata, denota inequivocabilmente la consapevolezza della C. dello status di latitante del M. e che integra, ex se, anche l'elemento materiale del contestato reato di favoreggiamento realizzato anche attraverso l'ospitalità offerta al M. nei giorni precedenti al controllo di polizia, secondo quanto riferito in dibattimento dalla P., oltre che nell'assicurare il mantenimento dei contatti del M. con i congiunti attraverso la propria utenza cellulare. Risultano, dunque, infondate le censure difensive sul punto della ritenuta sussistenza dell'elemento materiale del reato, ragionevolmente argomentato nella sentenza impugnata alla luce di plurimi dati di prova di provenienza diversa quali le intercettazioni telefoniche, le dichiarazioni rese dalla P. ed il descritto comportamento tenuto dalla C. al momento dell'esecuzione dell'ordinanza, elementi che, con motivazione scevra da manifesta illogicità, la Corte territoriale ha ritenuto idonei a denotare in capo alla C. la conoscenza dello status di latitanza del M. e la coscienza e volontà dell'aiuto offertogli al fine di sottrarsi alle ricerche dell'autorità. Quanto allo status di latitanza del M., rileva il Collegio che, al di là delle approssimazioni sul punto del verbalizzante sentito in dibattimento, esso risulta dal decreto in atti.

5. Consegue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2016

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