In tema di elettorato passivo, i "requisiti negativi" ostativi al mantenimento della carica di consigliere regionale, idonei a determinare "ipso jure" la decadenza ai sensi del D.Lgs. n. 235 del 2012, art. 8, comma 6, per difetto della non indegnità morale del soggetto desunto da condanne irrevocabili per determinati reati, sono i medesimi che determinano l'incandidabilità di cui all'art. 7 dello stesso D.Lgs., in base all'interpretazione letterale, sistematica e finalistica della relativa disciplina, e pertanto alla sentenza penale di condanna è equiparata quella di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., come previsto dall'art. 15 dello stesso D.Lgs.

Cassazione civile sez. I, 30/03/2022, (ud. 24/02/2022, dep. 30/03/2022), n.10224
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 917/2021 pubblicata l'8-6-2021 la Corte d'appello di Palermo ha rigettato l'appello proposto da G.G. diretto ad ottenere, in riforma dell'ordinanza del Tribunale di Palermo del 16-10-2020, la disapplicazione e/o l'annullamento della dichiarazione di decadenza di diritto dell'appellante dalla carica di deputato regionale emessa dal Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana nella seduta del (OMISSIS). La Corte territoriale, per quanto ancora di interesse, ha affermato che: i) era manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 235 del 2012, art. 15, come affermato dal Tribunale con argomenti ai quali era fatto espresso rinvio, non essendo, peraltro, ravvisabile alcun contrasto della norma con la presunzione di innocenza prevista dall'art. 27 Cost., poiché la decadenza è ricollegabile non ad un giudizio di responsabilità penale ma al mero fatto dell'applicazione di una pena, non lesiva del suddetto principio costituzionale; l'equivalenza stabilita dal citato art. 15, tra sentenza penale di condanna e sentenza resa ai sensi degli artt. 444 c.p.c. e segg., è giustificata dall'esigenza che la carica politica sia ricoperta da soggetti moralmente specchiati, idonei a garantire il buon andamento e l'imparzialità delle pubbliche scelte, né era dato dubitare della legittimità costituzionale di tale equivalenza in relazione agli artt. 2,3 e 51 Cost., neanche con riferimento alle previgenti normative riguardanti l'incandidabilità alle cariche politiche e la decadenza dalle medesime; iii) la previsione del principio di equivalenza tra sentenza penale di condanna e sentenza di patteggiamento rientra nell'ambito della competenza statale legislativa, concernendo la materia "ordine pubblico e sicurezza", considerato, inoltre, il disposto del D.Lgs. n. 235 del 2012, art. 14, che stabilisce l'applicabilità, anche nelle regioni a statuto speciale, delle disposizioni di legge ivi contenute; iv) al caso di specie erano pertanto applicabili del D.Lgs. n. 235 del 2012, artt. 7,8 e 15, ed era inammissibile la deduzione difensiva circa il mancato carattere di definitività della sentenza di patteggiamento in forza della quale era stata dichiarata la decadenza di diritto del deputato regionale perché prospettata per la prima volta in sede di discussione orale della causa, dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. e, dunque, tardivamente.
2. Avverso questa sentenza G.G. propone ricorso, affidato a tre motivi, nei confronti dell'Assemblea Regionale Siciliana e del Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana e della Commissione per la verifica dei poteri dell'Assemblea Regionale Siciliana, che resistono con controricorso.
3. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 648 e 625 bis c.p.p., l'omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la nullità della sentenza, per avere la Corte d'appello ritenuto tardivamente prospettata per la prima volta, dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., la questione relativa alla definitività e al passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., senza considerare che non si tratta di eccezione processuale rientrante nella disponibilità della parte, ma di un ineludibile presupposto normativo di applicabilità delle norme sulla decadenza, in base a quanto previsto dal D.Lgs. n. 235 del 2012, art. 8, u.c., rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e nella specie il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento non era avvenuto in data 11-11-2019 (data dell'ordinanza emessa da questa Corte di inammissibilità del ricorso), atteso che l'odierno ricorrente aveva introdotto il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. e l'art. 648 c.p.p., prevede l'irrevocabilità delle sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione, ossia, ad avviso del ricorrente, allo scadere del termine di 180 giorni ordinariamente previsto per la proposizione del ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., analogamente a quanto previsto dall'art. 324 c.p.c.;
con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 235 del 2012, artt. 7,8 e 9, sotto il profilo della inapplicabilità nella Regione Sicilia di quelle norme della c.d. Legge Severino che assume essere un segmento di materia riservata all'Autonomia regionale (disciplina delle modalità di verifica e sanzioni incidenti sullo elettorato passivo), in rapporto all'art. 4 dello Statuto Regionale Speciale, che è norma di rilievo costituzionale, ed al suo Regolamento interno (art. 40), per avere la Corte d'Appello fatto diretta applicazione del dettato della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, comma 2, quale norma di salvaguardia che impedisce la declaratoria di illegittimità di un atto amministrativo avente carattere "vincolato", ed invece la censura involgeva profili di incompetenza e addirittura di vera e propria attribuzione, con le inerenti questioni di illegittimità costituzionale già espressamente sollevate e che assume il ricorrente di riproporre, con riferimento alla denunciata invasione dei compiti e delle attribuzioni proprie della Commissione Regionale di Verifica dei Poteri, ossia di prerogative di rilievo costituzionale derivanti dallo Statuto autonomistico e dal Regolamento interno della Regione Siciliana, non potendo altresì qualificarsi come vincolato il provvedimento di cui trattasi; iii) con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 235 del 2012, artt. 7,8 e 9, sotto il profilo della inammissibile totale equiparazione delle sentenze di patteggiamento alle sentenze di condanna emesse all'esito di giudizio abbreviato o di dibattimento ai fini dell'applicazione del citato art. 8, nonché la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 235 del 2012, art. 15, comma 1, che disciplina mere e limitate ipotesi di "incandidabilità", e non già di decadenza, rimarcando la diversità, ancorata a presupposti fattuali e giuridici del tutto autonomi, delle due fattispecie legali, di stretta interpretazione, sicché nel caso in esame, ad avviso del ricorrente, è assolutamente carente il requisito della effettiva preesistenza di una sentenza di condanna definitiva a carico dell'odierno ricorrente, in disparte il rilievo, che ribadisce, secondo cui la sentenza di patteggiamento del GUP di Roma del 18.02.2019, nel caso concreto, non era effettivamente passata in giudicato allorquando era stata adottata la pronuncia di decadenza.
2. Il primo motivo è infondato, pur dovendo emendarsi in diritto la motivazione della sentenza impugnata.
2.1. La censura pone una prima questione che deve risolversi in senso contrario a quanto affermato nella sentenza impugnata, con la quale si è ritenuto che l'allegazione del passaggio in giudicato della sentenza penale, da cui discende la decadenza dalla carica di consigliere regionale del ricorrente, rientri nel novero delle questioni di fatto e giuridiche soggette alla disponibilità delle parti e che, quindi, debba essere tempestivamente introdotta in giudizio e non sia rilevabile d'ufficio.
Ritiene, invece, il Collegio che si tratti di un presupposto normativo che il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio, configurandosi la sentenza penale passata in giudicato come un "dato storico", che non ammette reinterpretazione di fatti o ulteriori indagini, per effetto del quale opera ipso jure la causa inabilitante.
Secondo la costante giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, la materia del contenzioso elettorale amministrativo è devoluta al giudice ordinario, ove concernente l'ineleggibilità, la decadenza e l'incompatibilità, in quanto volta alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo e l'accertamento della suddetta posizione soggettiva dell'interessato si svolge attraverso la verifica della rispondenza a legge della decadenza dalla carica indicata nell'atto amministrativo (cfr. tra le tante Cass. S.U. 11131/2015).
Indubitabilmente, tuttavia, detta verifica risponde, anche e soprattutto, ad esigenze pubblicistiche di rilievo costituzionale, essendo, in particolare, volta ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, e ciò giustifica, anzi rende necessario l'esercizio di indagine ufficiosa sull'irrevocabilità della sentenza penale di condanna, che è un "passaggio" indispensabile dell'accertamento demandato al giudice ordinario.
Va, pertanto, espresso il seguente principio di diritto:"In tema di contenzioso elettorale amministrativo, la verifica della rispondenza a legge della decadenza dalla carica dell'interessato indicata nell'atto amministrativo, pur riguardando la tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo, involge esigenze pubblicistiche di rilievo costituzionale, volte ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, sì da rendere necessario l'esercizio di indagine ufficiosa sulla sussistenza dei presupposti normativi previsti dal D.Lgs. n. 235 del 2012, artt. 7 e 8 e, in particolare, sull'irrevocabilità della sentenza penale di condanna per le ipotesi di reato da cui discenda "ipso jure" la decadenza dalla carica".