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Lesioni personali: la gelosia rientra tra i futili motivi?


Corte di Cassazione

La massima

In tema di circostanze, anche la gelosia può integrare l'aggravante prevista dall' art. 61, comma 1, n. 1, c.p. , che giustifica un giudizio di maggiore riprovevolezza dell'azione e di più accentuata pericolosità dell'agente, per la futilità della spinta motivazionale che ha determinato a commettere il reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto tale aggravante in relazione ad un delitto di lesioni commesso con l'investimento della vittima, rilevando che la condotta risultava del tutto sproporzionata rispetto alla spinta criminosa, individuata nella mancata accettazione della fine di una relazione sentimentale e nell'istinto di conservare un controllo sul partner - Cassazione penale , sez. V , 21/05/2019 , n. 44319).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. V , 21/05/2019 , n. 44319

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, datato 6.11.2018, la Corte d'Appello di Napoli, su appello del Procuratore Generale presso lo stesso Ufficio, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Nola del 21.6.2016, con cui il giudice monocratico di quel Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere per remissione di querela nei confronti di M.G. per i reati a lui ascritti ai capi a) e c) della contestazione (furto con strappo di un telefono cellulare e lesioni aggravate), diversamente qualificato il reato di furto con strappo di cui al capo a) in quello previsto dall'art. 626 c.p. (furto d'uso) e lo aveva assolto da quello di ingiuria e minaccia semplice perchè depenalizzati.


In seguito a detta riforma parziale, la Corte d'Appello ha dichiarato M. colpevole dei reati di furto ex art. 624-bis c.p., secondo l'originaria contestazione, e di lesioni ex artt. 582 e 585, in relazione all'art. 577 c.p. e art. 61 c.p., n. 1, (aggravante dei futili motivi) e, riconosciuta nei suoi confronti l'attenuante ex art. 62 c.p., n. 6, prevalente sulla ritenuta recidiva specifica, lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 450 di multa; i giudici d'appello hanno, altresì, rimodulato l'assoluzione per il reato di minaccia in declaratoria di non doversi procedere per remissione di querela, confermando nel resto la sentenza appellata.


Il contesto dei reati è quello di un litigio, dettato da motivi di gelosia, tra l'imputato e la sua ex convivente, S.M., dopo l'interruzione della loro relazione per volontà di costei, nel corso del quale l'imputato le aveva sottratto il telefono cellulare, strappandoglielo di mano per leggerne i contenuti, restituendoglielo solo dopo alcune ore.


2. Avverso il citato provvedimento propone ricorso l'imputato, tramite il difensore avv. Andolfo, deducendo un unico motivo con cui eccepisce il vizio di motivazione della sentenza impugnata là dove detto provvedimento ha ritenuto sussistente l'ipotesi di furto con strappo a carico del ricorrente tenendo conto del fatto che, da un lato, il profitto del reato può essere costituito anche da un vantaggio non patrimoniale e che, dall'altro, il ricorrente non aveva avuto inizialmente alcuna intenzione di restituire il telefono sottratto alla sua convivente, madre di suo figlio.


Invece, secondo la difesa, il ricorrente non ha mai avuto alcuna intenzione di appropriarsi del cellulare della compagna, ma solo l'obiettivo di controllare se la donna avesse altre relazioni, spinto dall'amore per lei e dalla volontà di ripristinare il rapporto sentimentale, cosa effettivamente accaduta, tanto che la S. ha rimesso la querela nei confronti del M. e convive di nuovo con lui.


Il primo giudice, dunque, avrebbe correttamente ritenuto sussistente l'ipotesi di furto d'uso procedibile su querela di parte, piuttosto che quella di cui all'art. 624-bis c.p., mentre è erronea la motivazione della Corte d'Appello.


Egualmente a dirsi per il reato di lesioni, che la difesa assume - in uno con le conclusioni del Tribunale - non aggravate dai futili motivi, non potendo questi ultimi essere ritenuti sussistenti nel caso di specie, poichè la condotta dell'imputato non è stata eccessiva ed è avvenuta per imprudenza della vittima, la quale, per ottenere la restituzione del suo telefono cellulare, si è frapposta al ricorrente che stava lasciando il posto con la sua auto e che non si è avveduto quasi di lei, solo per questo investendola all'altezza del piede con la ruota della vettura, facendola cadere in terra e cagionandole contusioni e traumi vari giudicati guaribili in cinque giorni.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.


2. Quanto al primo motivo di ricorso, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare, con principio che il Collegio intende ribadire, che è inapplicabile la disciplina del furto d'uso prevista dall'art. 626 c.p., comma 1, n. 1 nell'ipotesi di furto con strappo di cui all'art. 624-bis c.p., comma 2, alla luce del divieto posto dal citato art. 626, comma 2 che, pur richiamando la "circostanza aggravante" di cui all'art. 625 c.p., n. 1, abrogata e sostituita dalla disposizione di cui all'art. 624-bis, deve ritenersi riferito anche alla nuova fattispecie autonoma di furto con strappo, in considerazione della assoluta sovrapponibilità di tali due ultime norme, tra loro legate da un rapporto di continuità.


Posta, pertanto, la continuità normativa tra tali due ultime fattispecie, è da ritenersi tuttora operante il divieto di applicazione della disciplina del furto d'uso, nel caso di furto con strappo (Sez. 5, n. 8333 del 13/7/2015, Pellegrino, Rv. 266144) e dunque, per tale motivo, le ragioni difensive riferite alla possibilità di configurare la prima fattispecie di reato perdono qualsiasi rilevanza.


3. Anche la seconda censura difensiva non può essere accolta.


Invero, in un'ipotesi quale quella di specie, i futili motivi alla base dell'agire del ricorrente si evidenziano in tutta la loro capacità di aggravamento del disvalore penale della condotta.


Non può essere condivisa, infatti, quell'impostazione risalente, senza dubbio frutto di retaggi culturali oramai superati, sulla base della quale la gelosia veniva considerata ragione e movente dell'agire, incompatibile con l'aggravante dei futili motivi poichè manifestazione di uno stato passionale frequentemente alla base di delitti (Sez. 1, n. 1574 del 1/12/1969, dep. 1970, Portelli, Rv. 114590), quasi fosse questa una "giustificazione" comprensibile della determinazione delittuosa.


Ancora non in tempi lontani, peraltro, parte della giurisprudenza di questa Corte ha adottato orientamenti che paiono risentire dell'eco di tali risalenti posizioni interpretative, là dove ha limitato la configurabilità dell'aggravante dei futili motivi ai casi nei quali siffatto sentimento costituisca in realtà espressione di uno spirito punitivo nei confronti della vittima, considerata come propria appartenenza (ipotesi nelle quali, più correttamente, l'aggravante andrebbe inquadrata nella categoria dei motivi abietti piuttosto che futili, aderendo ai concetti ampi di libertà e rispetto dei diritti e della dignità umani protetti dalla Costituzione), escludendo tuttavia l'aggravante stessa qualora lo stesso sentimento si risolva in una spinta davvero forte dell'animo umano che può indurre a gesti del tutto inaspettati e illogici: cfr. Sez. 1, n. 18779 del 27/3/2013, Filocamo, Rv. 256015.


Ed invece, i motivi futili, in generale, deve ritenersi che sussistano quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale, (Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, Mele, Rv. 248832; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, Femia, Rv. 258598; Sez. 5, n. 41052 del 19/6/2014, Barnaba, Rv. 260360), con una sproporzione della condotta rispetto alla determinazione criminosa tale da giustificare un giudizio di maggiore riprovevolezza dell'azione e di più accentuata pericolosità dell'agente (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, D'Aggiano, Rv. 273119).


In tale ottica, non pare dubitabile che anche la gelosia possa essere considerata ragione di aggravamento del disvalore della condotta di reato, per la futilità della spinta motivazionale che ha determinato l'autore a commetterlo; ciò anche nei casi in cui la sproporzione tra il delitto realizzato e il movente-gelosia sia talmente evidente, per la banalità delle ragioni pseudo-sentimentali che lo sostengono, da rendere queste ultime nulla più che un mero pretesto per dare sfogo alla aggressività di chi compie il reato, sottolineandone la maggiore pericolosità.


Invero, la condotta posta in essere dall'imputato - consistita nell'investire la vittima passandole sul piede con la ruota della propria autovettura e provocandone la caduta, con la conseguenza di provocarle lesioni consistite in contusioni e traumi della regione lombare e al polso ed al piede - deve senza dubbio inquadrarsi in una di quelle azioni definibili come del tutto sproporzionate rispetto alla spinta criminosa collegata alla mancata accettazione della fine di un rapporto sentimentale con la persona offesa ed all'istinto - come già detto, banale e frequente, pur nella drammaticità delle sue conseguenze - di mantenere, attraverso la gelosia, una qualche forma di controllo dell'altro.


In altre parole, devono essere respinte interpretazioni che avallino, anche solo non considerandone la sproporzionata gravità, inaccettabili tentativi, attuati attraverso la violenza, di tenere in piedi un rapporto affettivo, in una società in cui la tutela della libertà di autodeterminazione degli individui nelle scelte della propria vita privata assume il rango di valore primario ai sensi dell'art. 2 Cost..


Nel caso del ricorrente, dunque, si giustifica e comprende, anche a livello motivazionale, la decisione della Corte d'Appello di Napoli di ritenere sussistente l'aggravante dei futili motivi ponendo in relazione la libertà della vittima di autodeterminarsi rispetto alla scelta di porre fine alla relazione con l'imputato e l'ingiustificata e sproporzionata reazione violenta di costui, motivata dalla gelosia e dal rancore per l'abbandono subito.


4. Per la natura e le circostanze di accadimento dei fatti deve essere disposto, infine, che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.


Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019



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